«Produrre e vendere, facciamo da soli»
La svolta di Slowear: basta con il meccanismo del conto terzi, idee chiare e nuove boutique Il presidente Roberto Compagno: «L’Italia può farcela, ma i negozi devono cambiare»
AParigi, nel nuovo negozio Slowear di Boulevard Saint Germain, Roberto Compagno — presidente, in azienda dagli Anni 80 con il fratello Marco — usa un’immagine presa in prestito dallo sci per spiegare quella che, a tutti gli effetti, è una case history: «Prima avevamo il peso a monte, ora l’abbiamo a valle». Da produttori, anche per brand del lusso, di pantaloni con Incotex («siamo arrivati a volumi spaventosi»), a gruppo che controlla quattro marchi di alta gamma e decide di mettersi in gioco, senza più filtri, nel retail, arrivando dunque «a valle», ai clienti che entrano in negozio.
Non è un cambiamento da poco. «Il mondo dell’intermediazione non ha futuro, difficile che nel tempo resti competitivo — dice Compagno per spiegare la molla che lo ha convinto ad abbandonare la strada vecchia per la nuova —. Così abbiamo deciso di non scommetterci più. Avere l’intera filiera è strategico». Tre anni fa Compagno e il fratello si sono trovati al bivio: investire in nuovi stabilimenti per seguire le richieste dei committenti o credere nella propria intuizione e buttarsi a viso aperto nella mischia. «Abbiamo scelto la seconda. È stato impegnativo,
Strategie Il nostro modello è complicato, non possiamo fare il copia e incolla Radici L’importante è mettere radici ben salde, cambiare la cultura aziendale è faticoso
soprattutto dal punto di vista culturale: diventare un’azienda con ambizioni di retail richiede competenze nuove. Abbiamo dovuto accelerare perché stare nel mezzo è la posizione più scomoda». Nel 2014, chiuse le ultime collaborazioni, l’avventura di Slowear è decollata.
Sono almeno tre le caratteristiche che stanno premiando il gruppo di Compagno: 1) Slowear è un marchio fuori dagli schemi, un marchio «ombrello» che ne raccoglie quattro — la storica Incotex (pantaloni), Zanone ( maglieria), Glanshirt (camiceria), Montedoro (capispalla) — che condividono la strategia della specializzazione spinta, molto apprezzata perché quasi sempre sinonimo di alta qualità; 2)l’idea del negozio con la filosofia del multibrand, dove lo scontrino medio è più «pesante» rispetto alla media di un monobrand; 3) infine la forte spinta all’internazionalizzazione, che in soli tre anni ha portato il gruppo a invertire le percentuali di fatturato Italia/ estero: dal vecchio 70/30 al 30/70 di oggi (una quota che moltissime aziende si pongono come obiettivo, spesso senza riuscire a centrarlo).
Nel nuovo negozio di Parigi — un ex ristorante di cui è stato conservato il bancone originale — Compagno non metterebbe neppure i manichini in vetrina, «mi piace puntare sulla curiosità della gente che passa e si chiede: ma cosa vendono questi?». Poi finisce per accettare un compromesso: manichini ma anche una bella selezione di musica in vinile, una linea di barberia, la caffetteria che, dopo le 18, serve Prosecco. «Il nostro è un modello complicato, non puoi fare il copia e incolla da un negozio all’altro». Tendenza, format e fashion le tre parole che, potendolo, cancellerebbe dal dizionario.
Crisi? «In Italia il Sud è ancora molto in difficoltà, mentre al Nord si sta accendendo qualche luce. Ma quello che ci serve è un nuovo modello di distribuzione: i negozi sono troppi, troppo piccoli e tenerli aperti è un’impresa. Dobbiamo tagliare e organizzarci meglio, come accade in Francia e Germania. La crisi ha evidenziato un modello di distribuzione bello, ma difficile da sostenere».
Cinquanta i milioni di fatturato, 450 i dipendenti. La prossima apertura sarà a New York, Soho, mentre entro agosto si replica a Tokyo (il Giappone è il primo mercato, seguito dagli Usa). «L’importante è mettere radici ben salde, non dobbiamo rendere conto a nessuno. Se non troviamo la location giusta per aprire, non lo facciamo e basta. Fino ad oggi, abbiamo avuto bisogno delle competenze più che dei soldi. La struttura di Slowear è ancora esile. Quando la macchina sarà a posto, basterà metterci la benzina per andare lontano».
La prima filiale estera è stata in Giappone, seguita dagli Stati Uniti. Sempre gestioni dirette, «l’intermediazione rende difficile raccontare un prodotto complesso e senza logo come il nostro».
Cina? «Non siamo mai stati interessanti per i nuovi ricchi. Ma anche la Cina sta cambiando, forse il nostro momento è arrivato».