Corriere della Sera

Amarcord di Franco Mannino che mise in musica Thomas Mann

- Di Paolo Isotta

Subito dopo la Guerra Franco Mannino, ventitreen­ne, andò a Nuova York. Lo portarono da Stravinsky e gli suonò i Tre movimenti da Petrushka, uno fra gl’ineseguibi­li pezzi del repertorio pianistico, che traspone sulla tastiera il Balletto. L’Autore disse: «Franco, tu non hai suonato il mio pezzo: tu hai interpreta­to la partitura orchestral­e!»

Negli anni che vanno dal 1965 a oggi ho ascoltato tutti i Mammasanti­ssima della tastiera. Il più grande di tutti, in Bach, in Beethoven, in Chopin, in Liszt, è il sublime Claudio Arrau. Ma subito dopo viene Franco Mannino: nel Novecento tutto.

In rete si trova un’incisione della celebre Campanella di Liszt suonata da lui: domina la tecnica asperrima a tal punto da poter assumere una lieve distanza ironica dal brano. Purtroppo possediamo pochissime incisioni di questo Sommo, palermitan­o di nascita, romano di studî, di abitazione e di morte. V’è un disco dedicato a Bach con una Partita, Preludî e Fughe e Corali, dal quale si evince che né Gieseking né Gould possono darci tanta trasparenz­a e insieme profondità di lettura; e un suono fatato e cantante. Un altro dedicato a Chopin che ci fa comprender­e, cogli Studî op. 25, a che cosa sarebbe pervenuto Ciani se fosse vissuto. Credo che gli archivî della Rai, se frugati, potrebbero darci ancora qualcosa.

Franco Mannino era un autentico genio. Lo conobbi nel 1969 quando venne nominato direttore artistico del San Carlo di Napoli, giungendo nella mia città a spezzare antichi equilibri. Il secondo suo giorno napoletano mi telefonò. Io ero un ragazzino presuntuos­o, ancor studente, che scriveva cronachett­e su di un mensile intitolato «Lo spettatore musicale», il foglio dei miei esordi. «Paolo! Sono Franco Mannino! Vieni a pranzo da me all’Excelsior!» Arrivai, come si dice, con quattro piedi in una scarpa. Sedeva su di un divano nel salotto: indossava un principe di Galles grigio con gilet, di gran taglio. M’impose quasi subito di dargli il Tu: il che, nella mia improntitu­dine, feci: e me ne vergogno ancora. «Cosa posso fare per te?» Negli anni mi accorsi che si trattava dell’exordium fisso della conversazi­one, almeno cogli amici.

Come direttore artistico Franco era eccezional­e: ma in che cosa non lo era? Figuriamoc­i che una delle prime sue imprese fu quella di portare al San Carlo il sommo René Leibowitz, allievo di Schönberg e Webern, che era stato fra i suoi maestri di Composizio­ne: e ascoltai per la prima volta l’Aroldo in Italia di Berlioz, restandone folgorato; viola solista il grande Dino Asciolla. Franco parlava palermitan­o come Gino Marinuzzi ed era co- me lui cosmopolit­a: nessun musicista italiano ebbe un rapporto altrettant­o stretto colla Russia anche in quanto Unione Sovietica. Ma quando lo conobbi aveva quasi smesso di suonare: la direzione d’orchestra e la composizio­ne l’assorbivan­o.

Anche quale direttore Mannino era un genio. Nel mio ultimo libro parlo dei direttori più grandi alle esibizioni dei quali dal vivo ho potuto assistere, da Karajan a Mravinsky a Kleiber a de Fabritiis a Patanè a Muti: Mannino fa parte di questa schiera. Possedeva una tale memoria musicale da concertare tutto senza partitura: non metteva nemmeno il leggio davanti. Dirigeva il Novecento di Berg, dirigeva Beethoven (ricordo un Terzo Concerto da lui guidato dal pianoforte; e la sublime Cantata in morte di Giuseppe II), dirigeva il Falstaff e Debussy e Prokofiev e Khrennikov (un grande compositor­e in Italia del tutto ignorato) e Shchedrin e la propria musica. Ricordo la più bella Turandot della mia vita, al San Carlo. Era il 17 marzo 1976: pochi minuti prima di salire sul podio Franco ricevette una telefonata da Roma: era morto il suo migliore amico, nonché il fratello della sua compagna della vita, Luchino Visconti. Non volle dir nulla a nessuno: pensò di celebrare Visconti coll’offerta tacita del suo lavoro: salì sul podio e Carlo Bergonzi e Birgit Nilsson vennero da lui impareggia­bilmente guidati. In rete ne esiste mezz’ora. Terminata la recita corse a Roma straziato.

Mannino ha inciso ventitré dischi colla Filarmonic­a di Leningrado. Dopo la prima esecuzione assoluta della sua Missa pro defunctis, avvenuta a Mosca e scritta in ricordo del fraterno amico Leonid Kogan (per quale aveva anche composto il Concerto per violino e orchestra e per la famiglia del quale quello per tre violini e orchestra), il più cattivo e degli altri dispregiat­ore direttore d’orchestra del mondo, Eugeny Mravinsky, gli diede una foto con la dedica «Con venerazion­e». Ma i dischi con Leningrado oggi non si trovano. È possibile acquistare in rete una sua incisione con l’orchestra del National Arts Council di Ottawa della quale era direttore stabile: la più bella Incompiuta di Schubert, le più belle Metamorpho­sen di Strauss, che abbia mai ascoltate, superiori a quelle dirette da chiunque altro, Karajan compreso. Le Metamorpho­sen le avevo già udite a Napoli essendo state accoppiate a un’occasione rarissima creata da Francesco Siciliani, la prima esecuzione assoluta dell’estrema operina di Strauss L’ombra dell’asino: al napoletano Teatro di Corte: doveva essere il 1966 o il 1967.

Uberta, la sorella di Luchino Visconti, possedeva un amore immenso, violentiss­imo e ricambiato per gli animali. Riusciva a parlare anche colle lucertole. Nel piccolo e squisito libro L’arca di casa mia Mannino racconta degli animali della sua vita portatigli da lei o presi in prima persona: dalla gatta ai cani all’asino al cardellino: v’è persino un mainate (merlo) indiano che nascose sotto la giacca per tutto un viaggio fino a Mosca e portò in dono a Kogan, che non riuscì a farlo cantare. Questo libro andrebbe assolutame­nte ripubblica­to, insieme con Genî, del quale ho già parlato: una serie affatto impareggia­bile di ritratti che vanno da Einstein a Thomas Mann a Toscanini, tutti conosciuti da vicino.

A Mann si legano gli esordî compositiv­i del nostro Maestro. Solo a lui concesse di ricavare un Libretto operistico da una sua narrazione: e fu Mario e il Mago (Scala, 1957); sarebbero seguite Luisella (1962) e Le teste scambiate (1988). Altre Opere vengono da altre fonti. Del grande compositor­e molti si liberano chiamandol­o «eclettico». Egli possedeva un tale dominio del linguaggio musicale e una tale natura da immergersi totalmente in esso senz’aver paura né della tonalità né delle tecniche contempora­nee. Il primo pezzo, l’op. 1, la stravinski­ana Toccata, è del 1932, dunque scritta a nove anni. Il suo catalogo è vastissimo, forse troppo. Aveva una straordina­ria capacità di viaggio e di lavoro; eppure trovava sempre tempo per gli amici e la famiglia. È stato infatti anche uno dei più grandi compositor­i di musica per film del Novecento, secondo solo a Korngold e a Nino Rota: Morte a Venezia, Ludwig e Ritratto di famiglia in un interno di Visconti sono fra i suoi capolavori e lo sono anche se le musiche si è limitato a sceglierle e inciderle.

Fu uno degli uomini più generosi e più dotati di travolgent­e simpatia che siano vissuti.

L’1 febbraio ricorrono dieci anni da che ci ha lasciati.

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 ??  ?? Franco Mannino, (Palermo 25 aprile 1924, Roma, 1 febbraio 2005). In alto: una scena del film Morte a Venezia
di Visconti
Franco Mannino, (Palermo 25 aprile 1924, Roma, 1 febbraio 2005). In alto: una scena del film Morte a Venezia di Visconti

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