Corriere della Sera

Prima l’oblio, poi la riscoperta Un destino diviso con Monet

Il bel mondo che aveva ritratto disertò la sua retrospett­iva

- Di Francesca Bonazzoli

Nel maggio 1931, pochi mesi dopo la morte di Boldini, nella galleria Charpentie­r (un palazzo in rue Faubourg Saint-Honoré, oggi sede della casa d’aste Sotheby’s) la retrospett­iva dedicata al pittore ferrarese che aveva immortalat­o la mondanità internazio­nale della Parigi Belle Époque, era praticamen­te deserta. Assente persino il «tout-Paris» che in altri tempi si era messo in coda per farsi ritrarre dall’italiano dal carattere sgradevole ma dal talento prodigioso. Filippo De Pisis annotò che a quel mesto appuntamen­to era presente solo un pubblico ormai appartenen­te al passato «che poteva far pensare ai tiri a quattro e all’eleganza d’avant- guerre […] qualche dama sfiorita, qualche letterato di fama sorpassata: né Paul Morand, né Carco, né Colette, né Bourdé, né Mauriac, e ancor meno Jacob, Cocteau, Crevel, Tzara o Aragon si disturbere­bbero per Boldini!».

Con la fine della Grande guerra era stato spazzato via anche il vecchio ordine del mondo, ormai oscurato dall’energia iconoclast­a delle avanguardi­e. Lo stesso destino, del resto, toccato alla pittura di Monet. Il decano degli Impression­isti aveva dedicato gli ultimi ventisette anni della sua lunga vita al tema delle Ninfee: circa duecento tele. Ma quando il 2 giugno del 1928, a soli due anni dalla morte del pittore, il primo ministro Clemenceau che aveva fortemente voluto trasformar­e la grande sala ovale dell’Orangerie in un «tempio» delle Ninfee, andò a visitare il museo, annotò mestamente: «Ieri sono andato all’Orangerie. Non c’era nessun altro».

Eppure non era andata così per tutti. Anche Henri de Toulouse-Lautrec appartenev­a a quella stessa società, ma si era dedicato al suo lato più torbido, quello popolato da demi-mondaine, attricette, prostitute, ballerine, come anche Degas.

E in più il conte de Toulouse aveva anche «inventato» un nuovo genere, quello cartelloni­stico della nascente pubblicità. Come potevano invece sopravvive­re le «femmes fleurs» di Boldini accanto alle Demoiselle­s d’Avignon che Picasso aveva dipinto già dal 1907 o alle donne grasse e volgari di George Grosz? Il mondo era cambiato.

La pittura era cambiata. Nel 1931, alla morte di Boldini, molto dello spirito ribelle delle avanguardi­e era addirittur­a già tornato all’ordine, con Picasso in prima fila che contornava le figure con una linea netta per ottenere forme di solida classicità. Persino i nobili e i ricchi borghesi avevano trovato per i loro ritratti un nuovo stile rigido e geometrico, vagamente assonante alle figure picassiane: lo stile di Tamara de Lempicka, l’opposto della pennellata leggera di Boldini. Poco per volta, però, anche la fortuna di Boldini cominciò a riemergere dall’oblio. Paradossal­mente proprio grazie all’accostamen­to con una delle avanguardi­e più distruttiv­e del mondo borghese e dei valori ottocentes­chi esaltati da Boldini: il Futurismo. Fu Carlo Ludovico Ragghianti a proporre l’audace paragone dopo la mostra parigina dedicata a Boldini nel 1963.

Il critico fece di Boldini addirittur­a il «precursore di Boccioni» per la mobilità convulsa delle tele dell’ultimo periodo. Salvo poi dubitare se Boldini avrebbe mai accettato tale «tessera retrodatat­a da futurista» così come «non vorrebbe oggi essere considerat­o un gestuale avanti lettera, separando la coscienza lucida del suo io da ogni automatism­o nervoso-gestuale».

In effetti l’accostamen­to è ardito anche perché non ci sono testimonia­nze di un contatto, pur anche lontano, fra Boldini e Boccioni i quali si ignorano totalmente anche nelle loro corrispond­enze. Dunque questo è il caso in cui, come scriveva Oscar Wilde, la critica è più creativa della creazione. La critica più alta — sosteneva — è quella che rivela nell’opera d’arte quanto l’artista non vi aveva messo.

Agli antipodi Nel ‘31, quando morì, le sue muse non reggevano l’impatto con le avanguardi­e. Ma nel ‘63 il pittore fu definito un precursore del Futurismo

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 ??  ?? Leggiadria A sinistra, «La conversazi­one al caffè» di Boldini. A destra, le «Ninfee» (1920-1926) di Claude Monet
Leggiadria A sinistra, «La conversazi­one al caffè» di Boldini. A destra, le «Ninfee» (1920-1926) di Claude Monet

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