E l’amico Sem ritraeva le attrici con la penna leggera dell’ironia
all’aperto, ordina un liquore secco, forse un vermouth. Guarda attentamente la gente che passa, coglie la piega di un panciotto turgido, un ancheggiare ammiccante, un cappello posato su riccioli neri. Coglie tutto e riporta sulla tavola, perché le sue prime opere parigine saranno questo, un misto di ironia, pastello e dettagli quasi impercettibili ma ben visibili a chi doveva intendere.
Nasceranno così le sue figure, riconoscibili e leggere, mai appesantite dall’astio che si poteva trovare, per esempio, nelle caricature di Charles Philipon (1800-1861) o nelle rubizze allegorie del grande Honoré Daumier (1808-1879). No, Sem intuisce che la carica polemica è intorno a lui, che i simboli servono a poco, basta raccontare, descrivere, annotare. È richiesto, il genere è inarrestabile.
L’Europa sforna riviste (come «Le rire», dove fece caricature anche Toulouse-Lautrec o la tedesca «Jugend», dal forte impegno anti clericale), personaggi (lo scapolo, l’arrivista, la maliarda, la ricca, tutti tipi che fioriscono nelle mani dei grandi scrittori, a cominciare dal Thomas Mann dei Buddenbrook), correnti. Sem conosce Boldini e il pittore Paul César Helleu, che lo introducono nei salotti che contano. Il suo Esile George Gourçat detto Sem (18631934) nel ritratto di Boldini (1901). In basso, uno dei disegni di Sem in mostra: «Francis de Croisset, Anna Held, Giovanni Boldini» (1913) Un soggetto inedito Giovanni Boldini, «La spiaggia di Étretat» fine Ottocento. Una marina del pittore ferrarese, non ricorrente nella sua produzione sguardo sulla borghesia non sarà mai tagliente, ma piuttosto divertito. Nascerà così la caricatura di D’Annunzio, colto mentre volteggia sopra a un piatto di spaghetti e balla con una donna nata dal fumo di questi; quella di Coco Chanel, pantalonuta, arcigna e molto stile Miranda Priestly de Il diavolo veste Prada. Dalle sue mani prenderanno vita una Colette ridente tra un lui e una lei, una contessa de Noailles con un becco e un corpo da uccello o uno scià di Persia costretto a salire su una sedia a causa della statura. Poi scoppiò la guerra.
Sem andò al fronte e lo raccontò a modo suo. La carneficina non trapelò dai suoi disegni, pieni invece di soldati forti e orgogliosi (dalle pagine del volume Un pékin sur le front). Mancanza di senso del realismo? Forse. Ma forse è stato il suo sguardo innocente a proteggerlo. Poi la guerra finì e allora lui indossò uno sguardo amarognolo. Il suo sogno di fondare una rivista si era spezzato con i colpi di cannone dell’esercito austriaco, ma il suo immaginario era cambiato.
Visse nella Parigi ruggente, fece in tempo a cogliere la voglia di ricchezza, di lusso e di agio che il dopoguerra si portò dietro come un risarcimento ma il suo tratto si fece più scuro, più triste. Si prestò alla pubblicità, alle illustrazioni giornalistiche, a quel mondo dominato dal capitalismo post-impero. Morirà nel 1934 dopo aver raccontato la sua personalissima (e dolciastra) fin de siècle.
Con le sue caricature raccontò la fin de siècle anche grazie al pittore di Ferrara Il suo era un tratto divertito più che tagliente: osservava e descriveva la società