Corriere della Sera

Agostini e quel record al contrario «Non segno neanche per sbaglio»

Il terzino insidia giocatori storici del passato: 327 partite in A senza gol

- DAL NOSTRO INVIATO Paolo Tomaselli

Un rimpallo di coscia, una deviazione di gomito, un colpo di fortuna. Niente di niente: 327 partite in serie A, 29 mila minuti giocati dal 16 settembre 2001 e Alessandro Agostini non si è mai tolto lo sfizio di segnare: «Si vedono tanti gol segnati per puro caso, ma a me non è mai capitato. Però che sia chiaro: non ho fatto mai nemmeno un autogol».

«Ago» da Vinci è un terzino di quelli che non se ne fanno più. E a 35 anni nell’Hellas Verona è l’unico giocatore in attività nella top 5 dei forzati dell’astinenza. Prima di lui ci sono solo figurine in bianco e nero, giocatori affidabili, tenaci e capaci di vincere le mode e il tempo che passa. Ma non di segnare: Franco Janich, colonna del Bologna campione d’italia 1964 ne ha giocate 426; Gaudenzio Bernasconi della Sampdoria 389, Francesco Morini della Juve 388 e Mirko Pavinato, un altro che faceva tremare il mondo in rossoblù, 349.

Agostini ha superato da poco il milanista Anquiletti (326), morto il 9 gennaio a 71 anni. Cresciuto nella Fiorentina, che lo ha fatto debuttare in A, diventato una bandiera dopo 9 stagioni a Cagliari, da due anni è il terzino sinistro del Verona: «Ho il contratto in scadenza, il futuro non so come sarà e raggiunger­e il podio di questa classifica mi sembra abbastanza difficile. Certo, ho tre figli, il maschio ha già 6 anni e inizia a guardare le partite: ogni tanto mi chiede se segno, ma io gli rispondo che sono scarso».

L’ossessione del gol, Ago la lascia ai centravant­i. Lui ha altro a cui pensare: «Da quando ho cominciato a giocare sento parlare della crisi del ruolo di terzino, soprattutt­o quello sinistro. Ma il nostro è un calcio caratteriz­zato da un tatticismo sempre più esasperato: se non fai bene la diagonale ti cambiano dopo tre partite. Sono cose difficili, credetemi. Uno pensa solo a quello, perché è tutta una questione di spazio e tempo. E sbagliare è un attimo. Bisogna esserci portati, ma anche fare esperienza. Forse per questo, alla mia età, me la gioco ancora con i colleghi più giovani».

Nel curriculum da terzino tutto d’un pezzo di questo sardo adottivo che ha tenuto la famiglia a Cagliari ci sono due macchie: «Sono gol veri eh, non scherziamo. Uno l’ho fatto con la maglia azzurra della Under 17 e l’altro con la Pistoiese in C1. In A ho colpito pali e traverse, ma il gol non me lo sogno di notte. Non ci sono mai riuscito, anche se all’inizio dicevano che facevo meglio la fa- se offensiva, un po’ per sfortuna, un po’ per poca bravura. Adesso si lavora molto sulle palle inattive, tanti difensori provano a segnare e ci riescono. Ma io che devo fare: quando c’è un angolo a favore sono l’ultimo che rimane dietro».

Magari si potrebbe fare a turno, dato che il Verona su 20 squadre è l’unica a non aver ancora mandato a rete un difensore: «I compagni un po’ mi prendono in giro, ma io la vivo nella maniera giusta. Ho giocato assieme a un grande come Zola, ho affrontato Figo, Shevchenko e tanti altri campioni. Ho avuto Allegri, l’allenatore che mi ha dato di più, sul campo e fuori: sa arricchire un giocatore, senza snaturarlo. E ho ancora fame, attaccamen­to al lavoro e la testa giusta. Se segno sono contento. Se no, va bene così: almeno mi ricorderan­no per qualcosa».

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