Elzeviro AUGURI, BELLINI IL PIÙ GIOVANE DEI PROGETTISTI
Da dove muove la novità dei progetti di Mario Bellini ( nella foto), 80 anni domani portati con sorridente ironia? «Sto progettando un grande impianto sportivo per Qatar 2022 e una città ecologica in Cina da un milione di abitanti, accanto a Zhenjiang che ne ha tre milioni, un arcipelago nel verde; e poi l’Antiquarium del Foro romano dove raccogliere le opere del periodo prima dell’Impero; e ancora il terminal internazionale dell’aeroporto di Fiumicino».
Tutto questo dopo la National Gallery of Victoria a Melbourne, il Dipartimento delle arti dell’Islam al Louvre, la Deutsche Bank a Francoforte e molto altro, dal Giappone agli Stati Uniti. Certo, Bellini, allievo di Ponti e di Rogers ha una lunga storia: comincia attorno al 1960-1961 lavorando come designer per La Rinascente, poi, dal 1962, per la Olivetti, è consulente per il design. Progettare per lui vuol dire dialogare con l’ambiente e poco importa se si tratta di un mobile o di una architettura nella città.
Una chiave per capire la lunga durata delle creazioni di Bellini è nella sua collezione: dipinti del Novecento da Cagnaccio di San Pietro a Mario Broglio a L’architetto di Mario Sironi, quadri raccolti nello spazio misurato di Piero Portaluppi ma, con loro, i piatti neobarocchi, le forme sprezzate di Lucio Fontana che stanno accanto al Teatro Scientifico di Aldo Rossi e a Sogni infranti (1992), colorati, grumosi vetri fra Spoerri e Tinguely creati da Bellini per Venini. Qui dunque cogli la misura, i rapporti che legano l’oggi del progetto all’arte del Novecento. «Il design non è nato negli anni Venti e Trenta, ma con le origini dell’umanità: si è sempre progettato, il letto di Ulisse era una tavola, è stato così per secoli, forse millenni, il design non esiste, e neppure il mitico rapporto forma-funzione, il design è solo una disciplina accademica». Ma allora, se ogni epoca ha il proprio design, come e dove cogli in Bellini le tracce di questa lunga durata e del valore simbolico delle immagini? Dal 1962 con Cartesio, vincitore del Compasso d’oro, a oggi, Bellini ha realizzato molti tavoli e uno, La basilica (1977), con sei sostegni, pilastri lignei squadrati come in un tempio antico, fa capire il dialogo con le strutture del passato. E poi ecco, nelle architetture, tornare le due torri sull’ingresso che ritroviamo nella nuova costruzione della Fiera di Milano (1987-1997) come al Design Center di Tokyo (1988-1992): memoria delle porte romane e medievali delle città d’Occidente.
«La metodologia del progetto non esiste, il progetto è un viaggio, una esplorazione nel tempo e nello spazio» e ogni luogo, esterno o interno, dialoga sempre con la persona. Bellini infatti rivoluziona la forma degli oggetti pensando ai gesti di chi usa la macchina da scrivere come nella Olivetti ET 111 (1963), o evoca il giocare scomponendo il cubo nell’impianto stereofonico Totem (1971) per la Brionvega, e progetta con lo stesso spirito le architetture.
Così l’atrio e i tre grandi cerchi dello Yokohama Businnes Park (1987-1991) e il grande nucleo cilindrico della Conference Centre di Villa Erba (1986-1990) evocano la lunga durata dell’immagine: cavea di teatro antico o Pantheon non importa. Un’altra chiave per capire Bellini sta in due suoi viaggi fotografici: 1972, coast to coast negli Stati Uniti, l’America degli hippy e delle ville di Hollywood, ripresa con la misura attenta di una 6x6, e le foto con un fish eye scattate dal treno alta velocità TokyoOsaka: da una parte rigore, costruzione di immagine, dall’altro sguardo rapidissimo sul vivere, il movimento, lo spazio dei desideri.
Sono i due poli dell’invenzione del più giovane dei progettisti.