L’ultimo bambino prodigio (che sognava di diventare scultore)
Craig Green, 28 anni, londinese: osannato dalla stampa anglosassone, è un nome da imparare a conoscere
A lle sfilate uomo autunno/inverno a Londra le aspettative erano altissime. Il rischio di deludere, di rivelarsi una meteora. E invece Craig Green non ha sbagliato — e se le lacrime stavolta non ci sono state, non è perché ha mandato in passerella capi meno straordinari. «La primavera è spirito, l’autunno di carne», ha scritto Tim Blanks. I nuovi pezzi sono più concreti, si mescolano all’abbigliamento militare. E però i calzoni sono in seta, i «giubbotti antiproiettile» cotone appena trapuntato. Protezione e vulnerabilità. Maglioni spessi con un oblò ad altezza sterno che rivela torsi emaciati e pallidissimi. «Nei cartoni è il punto da cui, quando uno muore, l’anima s’invola», osserva lo stilista infantilmente ma con
spleen. L’Independent si dichiara suo «fanatico»; il New York
Times lo trova perfino maturato. Lui chiosa: «La mia protesta silenziosa è diventata più sonora».
Lo scorso giugno, al suo debutto alle London collections, quella protesta aveva scosso tutti: i grandi buyer, le firme prestigiose, gli editor più cinici. Piangevano e si spellavano le mani, come coscienti d’essere stati testimoni d’un momento pivotale nella storia maschile del costume. Quelli di cui si leggerà anni dopo nei dizionari della moda, e inevitabilmente sapranno di leggenda. Una collezione spirituale, la primavera/estate 2015 di Green. Di samurai, di penitenti a piedi scarnissimi e nudi. Il classico tre pezzi destrutturato in strati di cappe e camicioni, i pantaloni amplissimi, le strisce di tessuto senza un fine. Una complessità inquietante e però zen.
Ventotto anni, londinese, studi al Central Saint Martins, dov’era stato allievo prediletto di Louise Wilson, come Alexander McQueen prima di lui, sognava di diventare uno scultore («non sapevo neanche chi fosse McQueen», racconta oggi, forse tirandosela un po’). Poi nel 2010 un premio prestigioso (il New Era XC), una capsule collection per Bally. Vive coi genitori, la «a» del nome a forma di casetta, crea vestiti dai rifiuti. Un giornale lo canzona: «Vivienne Waste-wood», lui ci resta male. Alla SS15 la svolta. Triplica le vendite, il New York Times lo definisce «ultimo wunderkind» (bambino prodigio). Quello di Green è un maschio onesto, consapevole delle sue fragilità. E sa che per andare incontro al mondo deve farsi l’armatura.