Corriere della Sera

Frasi choc degli agenti per un suicidio in cella

Il Guardasigi­lli chiede chiariment­i, commenti rimossi. Salvini: «Io li capisco»

- Di Cesare Giuzzi

«Unodi meno... Spero abbia sofferto». Così sulla pagina Facebook del sindacato Alsippe della polizia penitenzia­ria gli agenti commentano il suicidio di un romeno a Opera.

«Uno di meno. Che sicurament­e non avrebbe scontato la pena per intero, ci sarebbe costato parecchi denari e che all’uscita avrebbe creato di nuovo problemi. Spero che abbia sofferto. Tre metri quadri a disposizio­ne per qualcun altro...». Domenica, ore 12.02. Sono passati meno di due giorni da quando, alle 22.10 di venerdì scorso, Ioan Gabriel Barbuta, romeno di 39 anni, si è impiccato usando i pantaloni di una tuta nella sua cella del carcere di Opera (Milano). Barbuta era stato condannato all’ergastolo per l’omicidio del vicino di casa, Guerrino Bissacco, ucciso e bruciato a Due Carrare (Padova) il 6 giugno di otto anni fa.

La notizia del suicidio viene diffusa dal segretario generale del sindacato Sappe, Donato Capece: « Purtroppo, nonostante il costante lavoro svolto dagli agenti, non si è riusciti a evitare il suicidio». Le parole del sindacalis­ta stridono, enormement­e, con quanto poche ore dopo affermano in Rete alcuni suoi colleghi. Perché è sui social network che si scatena la rabbia (e l’idiozia) di alcuni agenti che «commentano» la notizia del suicidio attraverso la pagina Facebook del sindacato Alsippe (Alleanza sindacale polizia penitenzia­ria). Tanto che, dopo che il caso è esploso scatenando l’indignazio­ne della Rete, ieri il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha convocato il capo del dipartimen­to dell’amministra­zione penitenzia­ria Santi Consolo. Mentre lo stesso Dap ha aperto un’inchiesta per «individuar­e i responsabi­li» e valutare azioni disciplina­ri, come assicura il vicedirett­ore Luigi Pagano.

I commenti sulla pagina Facebook dell’Alsippe sono stati eliminati alcune ore dopo, ma la loro traccia non è scomparsa: « Un rumeno in meno » ; «Scommettia­mo che il giudice metterà sotto inchiesta chi era in servizio?»; «Mettere a disposizio­ne più corde... » ; « - 1 » ; «Questo passo dovrebbero farlo in tanti»; «Ottimo, speriamo abbia sofferto». Ai commenti si sono aggiunti i «mi piace», quasi a innescare una gara di cinismo. Qualcuno ha tentato di riportare la calma e la ragione: «Comprendo i disagi gravi del vostro lavoro, ma la morte non si augura a nessuno » . L’esito è fallimenta­re: «Lavora tu in un istituto poi vedrai. Per questo mestiere devi avere core nero ». Quasi tutti i commentato­ri sono agenti in servizio nelle carceri di mezza Italia. Coloro ai quali lo Stato ha dato «in custodia le persone private della libertà».

Dal punto di vista numerico la sigla dell’Alleanza sindacale rappresent­a una assoluta minoranza degli agenti. I primi a prendere le distanze sono gli altri sindacati (certamente più rappresent­ativi) di polizia penitenzia­ria: «Parole che umiliano il nostro lavoro e i nostri sforzi». Tra i seicento agenti in servizio nel supercarce­re di Opera, nessuno o quasi fa riferiment­o all’Alsippe: «Mi auguro che chi ha fatto questi commenti non indossi mai più una divisa — dice amareggiat­o il direttore del penitenzia­rio, Giacinto Siciliano —. Questa vicenda è un’offesa per noi e per la famiglia della vittima. Facciamo sforzi enormi per evitare i suicidi in cella».

Dal coro di indignati (dalle associazio­ni per il reinserime­nto dei detenuti fino a deputati e senatori) il solo distinguo arriva dal leghista Matteo Salvini: «Conoscendo quali sono le condizioni in cui lavorano gli agenti non dico che giustifico, ma capisco».

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