La «mission impossible» di León, diplomatico jazzista
Il mediatore spagnolo dell’Onu sopraffatto da caos, odi tribali, mestatori interni ed esterni
ROMA Bernardino León suona la chitarra acustica e adora la musica di Miles Davis. E nessuno meglio dell’inviato speciale dell’Onu in Libia sa che la diplomazia «è come il jazz, improvvisazione intorno a un tema», secondo la celebre definizione dell’ambasciatore americano Richard Holbrooke, l’architetto degli accordi di Dayton che misero fine alla tragedia jugoslava. Di più, da maratoneta — è riuscito a completare la massacrante 100 chilometri di Ronda — il diplomatico spagnolo possiede una forte capacità di resistenza.
Sono qualità indispensabili per l’incarico ricevuto da León nello scorso settembre, quello di riportare un minimo di stabilità politica nel Paese nordafricano. Ma si sono fin qui rivelate inutili, di fronte al caos, agli odi tribali, ai mestatori di torbidi interni ed esterni e da ultimo al vortice di sanguinaria violenza, che trascina la Libia verso l’abisso di una guerra di tutti contro tutti.
Al punto che l’ex braccio destro di José Luis Rodríguez Zapatero ha deciso di sfruttare l’opportunità della crisi, cercando un’accelerazione e puntando a creare un governo di unità nazionale, dove siano rappresentate le due principali fazioni del mosaico libico, i cosiddetti laici di Tobruk e gli islamisti di Tripoli e Misurata.
Solo allora, sarà possibile ipotizzare una missione di pace dell’Onu, una forza multinazionale «in grado di controllare porti, aeroporti, ingressi al Paese e di far rispettare un preciso calendario per il ritiro delle milizie dalle città e dalle installazioni vitali», ha spiegato nei giorni scorsi.
Occorre essere molto ottimisti per credere alle chance di successo di Bernardino León, di fronte all’avanzata dell’Isis e alla liquefazione di ogni parvenza di Paese. Ma sarebbe ingiusto farne il capro espiatorio di un eventuale fallimento.
Era un dattero avvelenato, quello ricevuto dal suo predecessore, il libanese Tarek Mitri, accusato a torto o a ragione di essersi troppo preoccupato degli interessi dei Fratelli musulmani, che controllano la fazione di Misurata, poi tracimata a Tripoli dopo il bombardamento dell’aeroporto nell’estate 2014.
«L’intuizione intelligente di León — racconta un diplomatico europeo — fu quella di puntare sul Parlamento eletto in giugno, l’unico con un minimo di legittimazione, nel frattempo trasferitosi a Tobruk, convincendo anche gli eletti che lo boicottavano a parteciparvi, individuando una sede accettabile per tutti». Sembrava la strada buona, confermata da due riunioni in settembre e ottobre, la seconda a Tripoli alla presenza di Ban Ki-moon e di Federica Mogherini. Ma in novembre, la Corte Suprema aveva dichiarato incostituzionali le elezioni, togliendo di fatto legittimità all’assemblea di Tobruk, che però continua a esistere, mentre a Tripoli il vecchio Congresso era risorto tornando a riunirsi e rivendicando a sé la legittima rappresentanza. Tutta la prima parte del lavoro di León era andata in pezzi. Pure, anche grazie al raccordo con l’ambasciata italiana, l’unica occidentale all’epoca ancora aperta nella capitale libica, il mediatore spagnolo è riuscito a riprendere un filo di dialogo fra le parti in due successive riunioni tra gennaio e febbraio, una a Ginevra e l’altra in Libia.
Ma la debolezza strutturale della mediazione rimane: «Non sono tanto le decine di clan tribali, ma le oltre cento milizie, tanto piccole quanto più disponibili per denaro a scopi criminali», spiega il diplomatico. Il paradosso è che il drammatico precipitare della situazione, con l’esplosione del bubbone del terrore islamico e il crollo dell’economia, potrebbero determinare un soprassalto di ragione, convincendo le parti a seguire proprio la conciliazione nazionale indicata da León.
Sulla possibile intesa gravano ipoteche pesanti, a cominciare dagli irriducibili capi militari: sul versante di Tobruk il generale Khalifa Haftar, uno che lo stesso premier libico Al Thani, cioè il suo leader politico, definisce «molto peggio di Gheddafi». Su quello di Misurata, Salah Badi, l’uomo che ha guidato il bombardamento dell’aeroporto.
La merce più scarsa è il tempo. León ha poche settimane per riuscire, altrimenti dovrà se non cedere il passo, almeno essere affiancato da un’altra personalità, con maggior profilo politico. Il nome di Romano Prodi è quello più accreditato, ma anche per l’ex premier la strada sarebbe in salita. Qualcuno ricorda che Prodi «potrebbe essere percepito come troppo vicino a quelli di Tobruk», che la scorsa primavera lo indicarono come mediatore gradito. Ma l’ex presidente del Consiglio ha già fatto capire di non temere la sfida.
La speranza L’ex braccio destro di Zapatero ha deciso provare a sfruttare l’opportunità della crisi