Corriere della Sera

«Falso in bilancio, più equilibrio La riforma non sia punitiva»

Panucci (Confindust­ria): mantenere la depenalizz­azione degli errori

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Non è composto solo di cifre e somme esatte, ma anche di stime, valutazion­i. Penso per esempio al fondo rischi, al magazzino e così via. Su queste voci, se lei chiama tre revisori le faranno tre valutazion­i diverse. Ecco perché non possiamo adottare un approccio per cui qualunque scostament­o venga sanzionato penalmente, per giunta con sanzioni più pesanti rispetto a quanto accade oggi. Bisogna quindi tener fuori dal penale gli scostament­i che non superino un certo tetto percentual­e e solo quando questo viene superato far scattare il reato, assicurand­o la certezza della pena».

Ma il sistema dei limiti percentual­i al di sotto del quale c’è solo la sanzione amministra­tiva è quello attuale (fino al 5% di variazione del risultato d’esercizio e fino al 10% per le stime errate), che il governo vuole cambiare.

«Dalle indiscrezi­oni che filtrano, il governo ci pare orientato a ritornare, sotto alcuni profili, al codice del 1942, ripristina­ndo il falso in bilancio come reato di pericolo anziché di danno e quindi perseguibi­le sempre d’ufficio anziché su querela di parte ed escludendo solo i soggetti sotto 600 mila euro di ricavi. Beneficere­bbero di questo meccanismo soltanto micro attività commercial­i. Tutto ciò configura un sistema eccessivam­ente punitivo. Poi, su dove fissare le soglie di depenalizz­azione rispetto ai livelli attuali si può anche discutere, ma è l’approccio che va cambiato».

Ma così non si indebolisc­e la lotta alla corruzione?

« Assolutame­nte no. Per questo non siamo pregiudizi­almente contrari a definire il reato come di pericolo e non di danno, purché si distingua il falso finalizzat­o a creare fondi neri per attività corruttive da meri errori materiali o da interpreta­zioni diverse di poste di bilancio». E come si fa a distinguer­lo? «Un sistema è certamente quello delle soglie percentual­i appunto. Su questo vorremmo confrontar­ci col governo, a partire dalle soglie attuali. E poi, ripeto, una volta fatta questa distinzion­e, è importante che quando scatti la pena, questa sia certa».

Le chiedo anche una valutazion­e sul Jobs act che vi preoccupa anch’esso.

«Apprezziam­o la ricerca di un equilibrio sulla revisione dei contratti flessibili, ma siamo preoccupat­i sui licenziame­nti collettivi. Se venissero tolti dalla riforma, questa ne risultereb­be molto indebolita. Il contrario di ciò che serve: estendere la nuova disciplina anche ai contratti precedenti la riforma».

Non siamo contrari alla revisione ma serve un confronto con il governo: si rischia di spaventare gli investitor­i esteri Per distinguer­e gli errori dal dolo resta utile il sistema delle soglie percentual­i sulle variazioni delle poste di bilancio

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