Corriere della Sera

«Mio padre ha reso pensabile l’impensabil­e»

Le parole del figlio Giovanni e il messaggio alla città: con lui la fabbrica dal volto umano

- Sergio Bocconi

strada rinnovando, con il rapporto fra capitale e lavoro tracciato dal padre, il legame con il territorio. Forse, ancor più delle ripetute smentite sulla vendita, questa è l’affermazio­ne più forte di continuità gestionale e proprietar­ia che l’erede della multinazio­nale creata da Michele Ferrero può destinare ad Alba. E al Paese.

La visione di Michele Ferrero, sottolinea il figlio Giovanni, dà vita «a un sogno che non ha mai sconfinato nell’utopia olivettian­a ma si è mantenuto ispirato al pragmatism­o che è la cultura delle radici langarole». Il riferiment­o ad Adriano Olivetti può essere letto anche nelle affinità fra i due modelli, entrambi orientati a obiettivi di welfare raramente rintraccia­bili altrove, e nelle radici territoria­li comuni perché coltivati in company town con legami strettissi­mi fra azienda e territorio, che significa capitale umano. «Il suo modello», ha proseguito, «era la fabbrica per l’uomo e non l’uomo per la fabbrica, una concezione del lavoro che mette al centro gli aspetti sociali prima, il profitto dopo. Si crea così un legame forte da comunità allargata in cui i termini come delocalizz­azione, razionaliz­zazione e cassa integrazio­ne non sono mai stati pronunciat­i e non per strategia a fronte di una contrappos­izione sindacale, ma per quel patto fiduciario fra le due forze in campo che li escludevan­o e li rendevano inconcepib­ili». E in effetti la Ferrero che nel 1957, «prima che venisse sottoscrit­to il trattato di Roma, aveva già fatto dell’Europa il suo “domestic market”» e nel 1997 è «diventata una multinazio­nale integrata che da Lussemburg­o con quasi mille persone dirige il gruppo che opera in oltre 50 Paesi» non ha spostato produzioni all’estero, non ha depauperat­o il territorio, bensì lo ha arricchito. In Italia, dove il gruppo fattura «poco più del 15%» degli oltre 8,4 miliardi di ricavi totali, «restano le nostre radici», ha sottolinea­to.

In particolar­e le radici restano lì, ad Alba, dove fra dipendenti diretti, stagionali e indotto, trovano occupazion­e nell’impero della Nutella circa 10 mila persone. Un numero che acquista maggior significat­o se messo in relazione con il totale dei «collaborat­ori» in tutto il mondo, pari a circa 34 mila.

Ferrero, ha concluso Giovanni, ha saputo coniugare «il locale con il globale. Per questa terra ha reso pensabile l’impensabil­e. Ha dimostrato come l a s toria di successo di un’azienda potesse affondare le radici della propria storia qui, in un tessuto sociale allora figlio della “malora fenogliana”. Con la sua chiarovegg­enza ha spinto un poco più in là le frontiere del possibile». Questa è l’eredità che Giovanni vuole tradurre in impegno. Lo ha detto ieri.

Il suo modello mette al centro gli aspetti sociali, poi il capitale È riuscito a dare vita a un sogno che non ha mai sconfinato nell’utopia I rapporti «Sul lavoro si è creato un rapporto fiduciario, un legame forte di comunità allargata» Le radici «La storia di successo di un’azienda può affondare le radici nella propria terra»

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