Triste, pesante e senza ritmo: «Figaro» delude
Difficile spiegare come e perché a Torino sia in scena una edizione tanto orrenda delle Nozze di Figaro. Da tempo si sottolinea come stia lavorando bene il Teatro Regio: il bilancio è sano, il numero d’abbonati elevato e medio-alta la qualità delle produzioni d’opera. Perciò fa tanto rumore il tonfo prodotto da questo inspiegabile, terrificante allestimento della prima opera dapontiana di Mozart.
Intanto non si capisce quale chimica, quale fisica o quale matematica — ma forse è una strana alchimia delle tre cose — possa aver partorito la scelta di affidare questa musica sublime alle cure di Yutaka Sado, direttore tutt’altro che modesto quando naviga nelle acque del moderno e del contemporaneo, ma che ignora cosa Figaro sia, «in primis» che è un’opera buffa. Tempi, fraseggi e articolazioni sono così lenti, pesanti, senz’aria da apparire punitivi non solo per chi suona e ascolta ma per chi canta. Persino Carmela Remigio, mozartiana bravissima, sembra irriconoscibile. E poi non c’è ritmo, non c’è azione, non c’è teatro. I recitativi sono quasi peggio dei numeri orchestrati. Laddove basta niente a far ridere, a commuovere, ad appassionare, si resta indifferenti.
In questo naturalmente la regia di Elena Barbalich ci mette molto del suo. Lo spettacolo vorrebbe emulare l’eleganza di Strehler ma è triste, lugubre, fermo. Il tempo non passa e, rinchiusi in costumi da museo, gli interpreti sembrano mummificati. Altro che diventare personaggi!
Questo Figaro è forse lo spettacolo più brutto visto in Italia in questi 15 anni del XXI secolo e il voto non è più basso per rispetto ai cantanti che vi prendono parte.