Corriere della Sera

Scene di vita non quotidiana in 39 quadri tragico-comici

- di Maurizio Porro

Lo diciamo prima noi, che in Un piccione seduto sul ramo riflette sull’esistenza, Leone d’oro a Venezia 14, non si capisce niente. Sembra. Poi, più ci pensi, più il film pare un nonsense geniale, con metodo: e si capisce tutto, solo che fa paura. Fa anche ridere. Sono 39 sketch in piano sequenza dove lo svedese Andersson organizza il teatrino della disperazio­ne comica, seguendo Beckett, che diceva che niente è più comico dell’infelicità.

Nel match tragedia-risate, le scene di vita non quotidiana, inserite in magnifica cornice coreografi­ca d’espression­ismo astratto e rimandi a Hopper, Brueghel il Vecchio (è lui l’autore del piccione), ci sono fissi due venditori falliti di scherzi di Carnevale e altra molto varia umanità partendo da tre morti iniziali. E non è escluso che siano già tutti revenant: infatti appare in un pub anche re Carlo XII mentre va a perdere la battaglia di Poltava.

Irresistib­ili scene: il bar di Lotta la zoppa, il tormentone della telefonata dove siamo tutti contenti che stiamo bene, la scostumata scuola di flamenco, fino a apparizion­i finali, il sogno e la gente che alla fermata del bus discute sui giorni della settimana. Tutti in attesa di Godot, ancorando la salvezza all’assurdo, al mutismo di Keaton, tra l’orrore del passato e la nostalgia del futuro, in una escalation di angosce da ora del lupo in cui non si ha più neanche il coraggio di formular domande. E in questo senso si capisce tutto: il film che chiude la trilogia «essere un essere umano» va visto, pensato, introietta­to ma non espulso perché mai come stavolta è il film che sta guardando noi.

 ??  ?? Sul set Una scena di «Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza» del regista Roy Andersson. Il film ha vinto il Leone d’oro 2014
Sul set Una scena di «Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza» del regista Roy Andersson. Il film ha vinto il Leone d’oro 2014

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