Mistero, magia e misticismo L’Oriente arcaico di Ciurlionis
L’eclettico artista lituano che anticipò le avanguardie
Ci sarebbe un modo ideale per entrare nello spirito di questa mostra: leggere uno dei libri in cui Paolo Rumiz racconta i suoi viaggi a «Oriente», da Trieste alla Transilvania, dalla Finlandia ai Balcani. Un’Europa che porta ancora aperte (basta guardare l’attuale situazione in Ucraina) le cicatrici di imperi caduti, migrazioni e massacri di popoli. È un «Oriente» con una complessità di memorie nazionali che ci sfuggono e pensiamo sopite e che sono invece ben sedimentate e pronte a riemergere dietro il pretesto di un conflitto etnico o religioso. A tenerle vive sono simboli e simbolismi cui furono già morbosamente sensibili gli artisti convocati in mostra, il meno conosciuto dei quali è senz’altro Konstantinas Ciurlionis (18751911), pittore e musicista. Un visionario con propensioni esoteriche, profondamente legato alla sua Lituania, la cui breve vita terminò con una depressione che lo condusse all’internamento in un ospedale psichiatrico. Da Lipsia, dove studiava al Conservatorio, descriveva così all’amico Morawski il professore di composizione: «A lui piace una musica limpida, soave, senza dissonanze. Invece le mie composizioni sono molto cupe, sovente vi risuona la tristezza lituana; i nostri canti a lui ovviamente suonano strani; lui è un tedesco».
Oggi per noi la Lituania è un nome che collochiamo con difficoltà nella carta geografica accanto agli altri mini Stati Baltici — Estonia e Lettonia — i cui confini sono stati livellati prima dal nazismo, poi dal comunismo e infine dall’Europa di Schengen. Per Ciurlionis, invece, quel territorio lituano aveva un confine preciso di fiabe, leggende, tristezza. Era un mondo glauco e acqueo, umido di piogge, acquitrini e laghi, immoto nei secoli, senza nulla a che fare con la modernità e riassumibile in tre parole: mistero, magia, misticismo. Le lande azzurrognole che Ciurlionis dipinge non contemplano la presenza di uomini, tanto meno quella di macchinari o città. I paesaggi sono abitati solo da angeli, sfingi e centauri, al massimo da antichi re e regine che si aggirano fra zigurrat, piramidi e mitiche costruzioni. Dalle acque si sollevano onde che si trasformano in volti, montagne che paiono avere occhi, iceberg che sembrano castelli. Nella pittura Ciurlionis ha condensato la conoscenza delle dottrine teosofiche, di astrologia, astronomia, pranoterapia e ipnosi, la filosofia tedesca, la religione indiana e le leggende lituane che la madre gli raccontava da bambino.
Difficile, dunque, con riferimenti così eclettici e personali, far coincidere la sua arte con i movimenti a lui contemporanei: la si può definire simbolista, ma in modo molto diverso dalla tradizione germanica di Böcklin o Friedrich e anche dal decadentismo morboso di Moreau o Redon. Così come è difficile vedere in Ciurlionis un precursore di Kandinskij, Kupka o addirittura del primo Mondrian, come alcuni forzatamente sostengono. Bernard Berenson, più saggiamente, apprezzava Ciurlionis «per l’unicità delle sue idee estetiche e pittoriche». Il suo viaggio artistico sconfinava in un Oriente complesso e frammentato, in un’identità nazionale riconosciuta come un’epifania nelle passeggiate notturne dentro la foresta dove l’originario spirito pagano sopravviveva assediato tutt’intorno dalle chiese cattoliche. Più che con il «demone della modernità» Ciurlionis, così come a loro modo Moreau, Redon o Böcklin, si confrontava con il «demone dell’interiorità», del caos primordiale della psiche e della Natura. Non a caso si è parlato del Sublime come di un desiderio di distruggere la forma e quindi dell’unica forma di sensibilità artistica che caratterizza il moderno.
L’estetica Pittore e musicista, diede voce allo spirito culturale del suo Paese fatto di esoterismo e leggende. Morì giovane in un ospedale psichiatrico