Corriere della Sera

L’eclissi della verità foraggia il Maligno

- Di Marco Ventura

Tempi propizi al demonio, i cambi d’epoca. Il nostro, all’inizio del terzo millennio, come quello rievocato a Palazzo Roverella, tra fine ‘800 e primo ‘900. Si somigliano il demone moderno di allora e il demone postmodern­o di oggi. Trovano alimento nello sconforto per un mondo al tramonto, nella paura per un nuovo mondo ostile. I demoni infiltrano la storia, la scienza, la tecnica; se ne impadronis­cono. Di lì, sfidano gli angeli e gli dei. Sostituisc­ono l’inferno al paradiso, al nirvana, all’illuminazi­one. Mettono la religione in mano al potere e al denaro. Come nel Vangelo, il diavolo è ricco e potente. Lo scorso ottobre, il Papa ha chiamato alla battaglia contro «i principati e le potenze», contro Lucifero e i suoi. Ci hanno fatto credere che il diavolo fosse «un mito, una figura, un’idea», ha detto Francesco. Invece «il diavolo esiste»; ci spara contro «frecce infuocate». È il padre «dei bugiardi e della menzogna». Proprio nell’eclissi della verità trova linfa il demonio. Gli artisti lo percepisco­no. Esplorano le ombre perché hanno fede nella luce. Sono blasfemi, ieri e oggi, perché si ribellano alla menzogna. Dando forma al Maligno ne denunciano la presenza; esplorando gli abissi del falso, spingono l’uomo verso il vero. Per questo l’artista è indispensa­bile nei cambi d’epoca. Per questo è perseguita­to. Nel primo Novecento, toccò agli artisti degenerati invisi a nazisti e comunisti. Oggi è ucciso in nome di Allah chi profetizza un mondo in balìa dell’odio religioso. Come un secolo fa, l’artista sente la tragedia incombente. Vede angeli e demoni in lotta.

Nel 1872 un russo divorato dalla febbre del gioco scrisse I demoni, un romanzo-affresco su una umanità posseduta, mossa da uno estremo istinto di distruzion­e creatrice. Nello stesso anno, un pittore (anche questo russo) dipinse una delle più singolari Tentazioni di Cristo: Gesù è solo, in mezzo al deserto, il demonio non è visibile, non ha le consuete sembianze caricatura­li (come, per esempio, nelle Prove di Cristo di Botticelli). Perché il demonio è in Cristo, è nella sua espression­e perduta, nelle sue mani strette dall’ansia, nelle pietre aride.

Così Fëdor Dostoevski­j e Ivan Kramskoi hanno dato vita a una nuova, rivoluzion­aria visione di Satana. In Russia, e forse non a caso: nella terra degli Zar il nichilismo assunse una fisionomia originale, sospesa tra la filosofia e la denuncia sociale. L’eclisse di Satana, o, meglio, la sua trasfigura­zione, prende piede anche qui.

Un’eclisse che, nel periodo al centro dalla mostra «Il demone della modernità», tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, poco alla volta trasforma il demonio in qualcosa di interiore. Nevrosi, sensi di colpa, rimorsi, tormenti modernissi­mi, poi sigillati dalle sentenze di Freud (se non c’è Dio non può esserci il demonio, diceva in sintesi) e, in definitiva, c’è la conferma della geniale intuizione di Baudelaire: «Il miglior trucco del diavolo è nel convincerc­i che non esiste».

Ma il percorso non è semplice:

Gli artisti che esplorano le ombre hanno fede nella luce Perciò non si può fare a meno di loro nei cambi d’epoca Un altro volto Tra Otto e Novecento Belzebù ha perso la sua carica simbolica e si è annidato nella psiche

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