LA TURCHIA NELLA NATO IL PESO DELLA STORIA
La Turchia è membro della Nato e mantiene sul proprio territorio la grande base aerea militare di Incirlik, determinante come base di partenza di missioni di pattugliamento, ma non solo, verso l’area instabile dei Paesi del Medio Oriente e del Golfo. Che cosa ha spinto la Turchia, Paese musulmano, ad aderire alla Nato? Da quale nemico temeva invasioni? Che ragioni sussistono oggi, aldilà di quelle economiche, per rimanere membro (anche se un poco recalcitrante) di tale alleanza? Da chi si deve difendere, per invocare, nel caso, la mutua assistenza? Caro Lucchini, urante la Seconda guerra mondiale la Turchia fu neutrale. I suoi leader, eredi di Kemal Atatürk, non avevano dimenticato che la partecipazione alla Grande guerra con gli imperi centrali aveva bruscamente accelerato la disintegrazione dell’Impero ottomano. Volevano consolidare il nuovo Stato repubblicano, fondato da Kemal nel 1922, e preferirono non correre altri rischi. Ma esistevano ancora questioni aperte, soprattutto sulle frontiere caucasiche con l’Unione Sovietica. Qui vi erano almeno due distretti, Kars e Ardahan, che russi e ottomani si erano frequentemente contesi nel corso della storia. Erano stati conquistati dalla Russia zarista nel 1878 con il trattato di Santo Stefano, ma erano diventati nuovamente turchi con il trattato di Brest del marzo 1918, quando l’Impero ottomano era ancora per qualche mese nel campo dei vincitori.
Quasi quarant’anni dopo, terminata la Seconda guerra mondiale, Stalin non tardò a riaprire la questione. Voleva Kars e Ardahan, pretendeva che l’uso degli Stretti, regolato sino ad
Dallora da un Trattato internazionale, venisse affidato a Russia e Turchia: un partenariato in cui la prima avrebbe certamente imposto la sua volontà alla seconda.
Erano gli anni in cui l’Urss sosteneva la causa dei partigiani comunisti nella guerra civile, scoppiata in Grecia dopo il ritiro delle forze d’occupazione tedesche. Le potenze occidentali temettero che Grecia e Turchia facessero parte di una stessa strategia sovietica nel Mediterraneo. La risposta di Washington fu la Dottrina Truman, una dichiarazione politica con cui il presidente degli Stati Uniti annunciò un programma di assistenza a entrambi i Paesi. Cinque anni dopo, il 18 febbraio 1952, Grecia e Turchia sarebbero divenute, contemporaneamente, membri della Nato. Nel frattempo la Turchia aveva già combattuto in Corea accanto agli americani e aveva dimostrato di essere sempre, come all’epoca dell’Impero ottomano, una rispettabile potenza militare. Il fatto che il Paese fosse musulmano, caro Lucchini, non aveva allora alcuna importanza. Le ricordo che il prolungamento della Nato in Medio Oriente fu il patto di Bagdad firmato nell’agosto del 1958 da Iraq, Iran, Pakistan, Regno Unito e Turchia: tutti fuorché la Gran Bretagna, musulmani.
Da allora molto è cambiato. L’Unione Sovietica è scomparsa, anche se Vladimir Putin cerca di ricostituire in altre forme uno spazio russosovietico. I rapporti del presidente turco con il presidente russo sono buoni. La Nato si è allargata sino a comprendere molti altri soci e non sono rare le occasioni in cui gli interessi della Turchia non sono quelli degli Stati Uniti. Ma la denuncia di un Trattato è spesso percepita come un atto ostile. Agli americani conviene avere una base in Turchia, alla Turchia conviene evitare la crisi di un rapporto con gli Stati Uniti che potrebbe rivelarsi utile.