«In Italia giocavo in C, ora vivo con le suore che mi avevano dato in adozione»
mezzo, vive da solo. Poi i suoi genitori gli danno un numero di telefono e lui si fa coraggio: va a visitare la missione da dove tutto è cominciato. Trova delle suore che si ricordavano di lui, trova una pace inaspettata tra bimbi che sono esattamente com’era lui. «Ora vivo qua, con le suore e 24 bambini. Non tornerò in Italia, se non per vedere i miei genitori: è troppo più bello stare qui. In missione capisci tante cose. Stare con i bambini dà una grande soddisfazione, mi sento responsabilizzato. Si vede che avevo bisogno di questo. Non ho trovato da chi sono nato 30 anni fa, ma non sono venuto qui per questo». La giornata si divide tra partitelle e pannolini. «Mi alzo alle 4.45, gli allenamenti sono alle 6, poi fa troppo caldo. Verso le 10.30 torno alla missione. La cosa più difficile? Quando un bambino piange e non capisci perché! A Laguna, dove le suore hanno una pensione con 1.500 bimbi, ho appena aperto una scuola calcio. È divertente, ma tagliare il campo un po’ meno!
La svolta
Alla sera la missione chiude alle 19.30, ma a me va bene. Però non sono un santo, eh, ogni tanto esco e non mi piace perdere!». Sui muri della missione ci sono i poster di Simone. «Per i bimbi non sono un idolo, ma un fratello maggiore». La sorpresa è scoprire che è molto meglio.