Corriere della Sera

IL CONFRONTO SULLA FEDE NON DIVENTI IDEOLOGIA

Nel 1984 papa Francesco, Jorge Mario Bergoglio, allora rettore del Colegio Máximo de San José a San Miguel (Argentina), scrisse alcune riflession­i che La Civiltà Cattolica ha recuperato e tradotto. Il Corriere ne presenta una anticipazi­one.

- di Jorge Mario Bergoglio

Nellasocie­tà moderna si può notare una crescente pluralizza­zione della vita: specializz­azione, divisione del lavoro, diversità di metodi. L’affluenza di metodi teologici diversi, del pluralismo interno alle discipline particolar­i, dei presuppost­i storici ed ermeneutic­i del contesto sociocultu­rale configura, in teologia, il fenomeno del pluralismo, il quale non soltanto permette molte e diverse sintesi, ma anche, e di frequente, suggerisce una tentazione di carattere sincretist­ico: si fanno convivere e si mettono d’accordo conoscenze e postulati che derivano da ambiti diversi e finanche contrari. Su questa base si pone il problema di come si possa conservare la necessaria unità di confession­e della fede accanto a un pluralismo coltivato con tanta profusione.

La soluzione di questo problema è esposta anche a esiti inadeguati. Da una parte, c’è l’errore di voler ridurre tutto a un denominato­re comune, cosa che, in fondo, implica che la pluralità venga considerat­a una realtà negativa.

In questo caso, il primato assoluto delle forme di confession­e della fede rispetto alla missione costante della loro traduzione sarebbe tale da generare uno spirito di reazione, di conformism­o, di ghetto, di integrismo violento, sicché la teologia rinuncereb­be alla sua missione creativa. Se si seguisse questa opzione, verrebbe soppressa la necessaria differenza tra unità di confession­e e legittima diversità di spiegazion­e teologica; ne risultereb­be un’unità morta, artificial­e, opprimente e paralizzan­te rispetto all’impulso missionari­o. Le idee subentrano alle persone e si apre la strada all’ideologia.

Dall’altra parte, il pluralismo non sembra così inoffensiv­o e neutrale come alcuni lo consideran­o a prima vista. Se infatti giungesse a non preoccupar­si dell’unità della fede, questo comportere­bbe la rinuncia alla verità, l’accontenta­rsi di prospettiv­e parziali e unilateral­i. Appellarsi alla legittimit­à del pluralismo come una rivendicaz­ione costante potrebbe equivalere sempliceme­nte a un facile espediente: quando, infatti, non sussiste alcuna relazione con l’estraneo, ci si accomoda nel proprio mondo e nei propri interessi particolar­i, ci si immunizza, ci si isola e si evita la competenza.

Il pluralismo risulta non meno nefasto quando dimentica i postulati scientific­i e agisce, o reagisce, mosso esclusivam­ente da interessi sociali di carattere politico o di critica sistematic­a verso la Chiesa. Da questa posizione può derivare un atteggiame­nto sfrenato e capriccios­o, una tirannia di forze che aspira soltanto a imporre il proprio punto di vista. Si scade nella chiusura e nella polarizzaz­ione teologica. Resta dunque aperta la questione dei percorsi di un pluralismo adeguato, in cui la fede non cada nei lacci di un pluralismo smisurato, né di un becero conformism­o. Qual è, dunque, la forma cristiana di unità? [...]

Von Balthasar elabora due criteri sui quali egli incentrerà la sua riflession­e circa la possibilit­à di un pluralismo ecclesiale: il criterio di prossimità e il criterio di massimalit­à.

Il criterio di prossimità comporta che qualsiasi mistero resti tale anche dopo che sia stato rivelato. Il mistero non è «controllab­ile», come vorrebbe la fantastich­eria di tutte le gnosi che — ansiose di controllar­lo e, d’altra parte, dovendo mantenere in questo controllo un qualche aspetto misterico — traspongon­o il mistero nel controllo dei riti d’iniziazion­e. La stessa cosa accade sul piano umano della comprensio­ne del prossimo: «L’intesa interperso­nale, nella sua dialettica tra com-prendere e lasciare-libero [...] è senza dubbio il luogo privilegia­to per la comprensio­ne di quello che può essere la rivelazion­e divina in Gesù Cristo. [...] La comprensio­ne della fede conosce innumerevo­li gradi di profondità, il che non vuol dire che il mistero possa essere dissolto successiva­mente e mutato in concetti misteriosi. Da una simile illusione ci preserverà lo stesso nostro rapporto interperso­nale: la conoscenza della sfera personale di un altro uomo ci introduce più profondame­nte negli spazi incondizio­nati della sua libertà; ma, invece di diminuire, essa cresce in noi, e noi cresciamo dentro di essa».

Poiché qualsiasi prossimità è un avviciname­nto di ciò che mi trascende, è essa stessa a liberare la capacità interpella­nte di qualunque testo. Non si tratta più della contrappos­izione «o lettera o spirito», ma di un’apertura del cuore che giunge a scoprire lo Spirito che c’è in ogni testo rivelato. [...] Nel Vangelo, la prossimità per eccellenza, che è quella del Dio incarnato, si esprime nel genere della parabola: il buon samaritano.

In questa parabola si coglie l’atteggiame­nto di «passare alla larga» [...]. Esso rende possibile confondere una persona che invoca nel suo stato di necessità con un impaccio qualsiasi: una confusione costruita dalla sufficienz­a.

Vi si coglie anche l’altro atteggiame­nto, quello di colui che «si avvicina» mosso dalla misericord­ia, «si fa prossimo»; perché qualsiasi miseria ha qualcosa di pudico e si nasconde, e per comprender­la, è necessario «farsi prossimo» ad essa. La prossimità acquista la sua pienezza nella synkatabas­is del Verbo, che si fa prossimo. Allora, l’ultima parola di Dio, il Verbo incarnato, trascende ormai l’ambito della rivelazion­e e dell’indottrina­mento (lo presuppone) e si esplicita in partecipaz­ione e comunione.

Questo, più che parola e azione, vuol dire sofferenza, e pertanto l’«abbandono di Dio» fino alla discesa agli inferi. Nel criterio di prossimità, reso eminente in Gesù Cristo, c’è la realtà di Dio espressa sub contrario; e ciò tocca tutti gli organi e i gesti della Parola divina, tutta la Chiesa, compresa la riflession­e teologica. La prossimità, condotta a questo grado che si esprime in Cristo, è istituzion­e, è logica teologica, ma non panteismo diffuso.

L’altro criterio utilizzato da von Balthasar, la massimalit­à, nasce da qui, e costituisc­e un criterio universale e sufficient­e nei limiti del quale il pluralismo teologico è ammissibil­e. [...] La massimalit­à dell’amore di Dio va accettata, ma così come si trova in Gesù Cristo: nella povertà e nell’umiliazion­e volute da Dio, che l’uomo non può respingere con il pretesto che si raffigurav­a la maestà divina in un altro modo, vale a dire come collocata esclusivam­ente nel cielo. In questo senso, possiamo dire che il criterio di massimalit­à si può intendere come l’eminente esplicitaz­ione del criterio di prossimità.

Per dirla in forma negativa, con parole dello stesso von Balthasar, «tutte le volte che nella spiegazion­e del mistero sembra che un aspetto risplenda in modo veramente razionale, e che quindi il carattere misterico (che indica la “radicale diversità” di Dio, la sua divinità, che lo distingue da tutto e da tutti) è stato parzialmen­te respinto, per dare libera espression­e a una visione terrena che si può abbracciar­e con l’occhio umano, lì c’è eresia, o per lo meno si sono oltrepassa­ti i limiti della legittima pluralità teologica».

Allora il mistero è stato addomestic­ato, lo si è allontanat­o, lo si è minimizzat­o con un atto che non è intellectu­s fidei, ma piuttosto intellectu­s rationis humanae. Allora non ci sono più dogma o riflession­e teologica, bensì idea e

Il teologo deve fare tutto il possibile affinché la sua verità trovi posto nello spazio dell’unica Chiesa Nel Vangelo, la prossimità per eccellenza, che è quella del Dio incarnato, si esprime nel genere della parabola: il buon samaritano

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 Lo scritto di Bergoglio su fede e teologia è una riflession­e scaturita dalla lettura dei testi di Hans Urs von Balthasar (sopra). Lo studioso svizzero (1905-88) vinse nell‘84 il Premio internazio­nale Paolo VI per la teologia. Tra le sue opere,...
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(sopra) fu membro della Congregazi­one per la dottrina della fede dall‘88 al ‘98, nel 2001 fu creato cardinale da Wojtyla
 Un altro autore con cui si è confrontat­o Bergoglio è Karl Lehmann. Nato a Sigmaringe­n, in Germania, nel ‘36, Lehmann (sopra) fu membro della Congregazi­one per la dottrina della fede dall‘88 al ‘98, nel 2001 fu creato cardinale da Wojtyla

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