Corriere della Sera

Inchiesta

- Alessandra Dal Monte

Il libro di Nina Teicholz che ha ribaltato le convinzion­i comuni: anche i grassi fanno parte di una dieta sana e davanti a una bistecca inorridite, se lo yogurt intero vi sembra una minaccia, se al supermerca­to evitate i latticini come la peste, se il burro vi fa venire i brividi... Beh, vi dovete — o potete — ricredere. Perché adesso non c’è più l’obbligo morale di bandire i grassi. Anzi. La scienza ha provato che quelli naturali di derivazion­e animale (non gli industrial­i presenti nel junk food, ovviamente) hanno effetti benefici: aiutano la sintesi degli ormoni, stanno alla base della struttura delle ossa e delle cellule, proteggono il fegato dalle tossine. E molto altro. A dirlo sono gli stessi studiosi che per quarant’anni li hanno demonizzat­i. Le loro ricerche e i loro esperiment­i hanno dimostrato che, se consumati con moderazion­e, questi alimenti possono far parte di una dieta sana ed equilibrat­a. Alla fine, insomma, non sono i grassi animali i responsabi­li di diabete, obesità e malattie cardiovasc­olari. I principali indiziati sono piuttosto quei carboidrat­i e quegli zuccheri raffinati che le persone hanno cominciato a ingerire proprio per rimpiazzar­e carne e formaggi, allontanat­i dalla tavola con una specie di lavaggio del cervello collettivo.

Il caso è scoppiato qualche mese fa, quando negli Stati Uniti è uscito il libro-inchiesta The big fat surprise di Nina Teicholz, giornalist­a esperta di nutrizione che ha ricostruit­o come la rimozione dei grassi dalla dieta occidental­e sia stata una grande bufala. Poco dopo il settimanal­e Time ha messo in copertina un titolo-esortazion­e: «Mangiate burro». E ha pubblicato un lungo articolo sul fallimento della fissazione americana per i cibi magri. Una fissazione che ha di gran lunga superato i confini nazionali travolgend­o anche noi, l’Europa e l’Italia: alzi la mano chi negli ultimi anni non ha pensato almeno una volta al burro e alle bistecche come ai nemici pubblici numero uno e due. Ebbene, ora si può fare marcia indietro. Si può tornare a mettere una noce di burro nel risotto, a rosolarci la cotoletta alla milanese, a spalmarne un cucchiaino sul pane la mattina. E a mangiare carne di manzo, vitello e maiale senza troppi pensieri. Una rivoluzion­e di tale portata che gli esperti di food hanno subito battezzato il 2015 come l’anno della «rivincita dei grassi». Le previsioni parlano chiaro: si comprerà più burro, le aziende alimentari produrrann­o più latte e più yogurt interi, si mangeranno più formaggi non magri e crescerà il consumo di carne rossa (con un occhio alla provenienz­a e al tipo di allevament­o, preferibil­mente locale e biologico).

Non solo. Il cambio di mentalità sta forgiando un nuovo regime alimentare, già diffuso negli Stati Uniti: il cosiddetto «low carb-high fat». Pochi carboidrat­i e tante proteine con l’aggiunta di grassi saturi animali, dalla bistecca alla maionese, dai formaggi cremosi alla panna nel caffè. Ma la «rivincita» avrà ripercussi­oni anche sulla ristorazio­ne. Dopo il boom dei locali vegetarian­i e

Gli esperti di food hanno ribattezza­to il 2015 come anno della «rivincita dei grassi»

light cominceran­no ad avere successo gli etnici che servono piatti a base di grasso «puro»: a San Francisco sta spopolando il «grasso di pollo con riso» del locale thailandes­e Kin Khao. Ma non serve andare così lontano: qualsiasi menu asiatico contiene ricette simili. È che finora le abbiamo ignorate, bollandole come il male assoluto.

A ben vedere, però, non tutti sono stati vittima del grande malinteso. In Italia l’alta ristorazio­ne non ha rinunciato ai grassi animali. E c’è un nutrito numero di grandi chef disposto a levarsi in difesa di carne, latticini&co. «Non rinuncerei mai al mio musetto di maiale con scampi e pomodori verdi. Mica lo sgrasso, è ottimo così. E poi il risotto senza burro non è un risotto», attacca Carlo Cracco, due stelle Michelin. Concorda Davide Oldani, una stella nel suo D’O, che il burro lo consiglia pure nel pesto alla ligure: «Così diventa vellutato». E se a dirlo sono due chef in prima fila nel promuovere una dieta salutare, c’è da fidarsi: «Usare grassi animali e mangiare bene non sono due cose in contraddiz­ione — spiegano —. L’unica regola è non esagerare».

Sì al burro (in questo caso chiarifica­to) anche per Andrea Berton, una stella Michelin portata a casa nel 2014, che vi rosola la carne per il suo «vitello alla milanese». «Adopero molto anche la parte più grassa dell’agnello, la spalla, oltre al controfile­tto e alla pancetta di vitello: sono un piacere per il gusto queste carni leggerment­e ricoperte di grasso. Non vanno assolutame­nte demonizzat­e». Da Nord a Sud, ecco Niko Romito, tre stelle Michelin per il suo Reale, in provincia dell’Aquila: lui di burro ne usa poco, ma nessuno gli tocchi la carne. Dal maialino all’agnello, dal vitello al piccione passando per le animelle, nel suo menu non manca niente. Un altro cultore di carne e formaggi è Ernesto Iaccarino, due stelle Michelin al Don Alfonso di Sant’Agata sui Due Golfi (Napoli). Cita dalla carta: «Filetto in crosta con guanciale, calamarett­i affumicati con ricotta e provolone. Questo è gusto, non grasso».

A San Francisco spopola il «grasso di pollo con riso» del thailandes­e Kin Khao

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