In «Il mese più lungo» (Marsilio) l’ex direttore de «il manifesto», Gabriele Polo, racconta il sequestro dell’inviata di guerra e l’amicizia nata con il funzionario del Sismi
comunista», tener fede ai propri princìpi, non compromettersi con chi gestisce il potere, fidarsi di chi non si stima, scegliere che cosa dire e che cosa tacere di quell’inferno iracheno, tra sciiti, sunniti, curdi, bande criminali e tener conto dell’ambiguità del Sismi che opera su linee rovinosamente contrapposte. La tentazione dell’autocensura è costante, ma il mondo dell’informazione è solidale e così l’opinione pubblica, con le sue fiaccolate, i suoi sit-in, i suoi cortei. Vince la libertà di parola.
Primo obbiettivo dei giornalisti de «il manifesto» è di impedire un blitz solitamente fatale. Gli americani, padroni da non turbare troppo, scartano la trattativa, gli europei, anche i più subalterni come i servizi nostrani, seguono invece quella via e riescono a trovare l’interlocutore credibile: in questo caso è un businessman iracheno che, in cambio dell’ostaggio, consegna ai sequestratori quattro valigette piene di dollari.
I giornalisti del «il manifesto» fanno un corso accelerato sull’universo dello spionaggio. Il libro di Polo è ricco di notizie, popolato di personaggi oscuri. Il giornalista e la spia sono, o dovrebbero essere, il diavolo e l’acqua santa, «svelare contro celare». Ma gli agenti segreti non sono tutti compiaciuti 007 o personaggi da melodramma. Nicola Calipari, il vero protagonista del libro, è un uomo diverso: «Trasmette sicurezza insieme alla sensazione di concretezza » , scrive Polo. Non finge, non sgarra, è onesto fino in fondo, rispetta i patti. Prova per il direttore de «il manifesto» — le loro idee non sono consonanti — una naturale simpatia ricambiata. La sua morte sulla strada che conduce all’aeroporto di Bagdad mentre porta in salvo Giuliana non ha avuto giustizia. Due Stati non hanno voluto processare veramente se stessi. Solo un «falso» processo e una medaglia d’oro.
Rosa Villecco Calipari, nella prefazione al libro, accomuna suo marito e Gabriele Polo: «Due uomini privi di cinismo, che amano il loro lavoro, anzi ne hanno fatto una ragione di vita».