Un volume di Franco Riva (Castelvecchi), da Esiodo al divismo dei cuochi Mangio dunque sono: il sapere dipende dal cibo
trasmettere. Questo vale a maggior ragione proprio con il latino, lingua ormai per pochi. Apprezzabile dunque la sfida di Lindau che ristampa con nuova prefazione la splendida e innovativa traduzione dei
(latini) di Giovanni Pascoli (pp. 230, 19) realizzata per Bur nell’84 da Enzo Mandruzzato con la cura di Antonio Traina.
Mangio, dunque sono. È il filo conduttore del volume che Franco Riva dedica al sempre attuale tema dell’alimentazione: Filosofia del cibo, (Castelvecchi, pp. 234, € 19,50), da poco nelle librerie, è un compendio di cultura, aneddotica e riflessioni morali. Un utile viatico nell’era dello strapotere dei cuochi, delle trasmissioni che esaltano l’arte dei fornelli — fin quasi a provocare reazioni di rigetto —, perché «il cibo non è solo mezzo e materia: è lavoro, parola, pensiero, gioco, umanità, libertà, esistenza, responsabilità, salute, giustizia».
Nel saggio del docente universitario (Riva insegna Etica sociale, Filosofia del dialogo e Antropologia filosofica alla Cattolica di Milano), si ripercorre la storia dell’umano bisogno di nutrirsi attraverso citazioni di storici, romanzieri, filosofi, soffermandosi sul significato del mangiare e arrivando a ironizzare sulle idiosincrasie di coloro che inquinano l’ambiente «mangiando però cibo biologico» o equo solidale. Nella narrazione, si passa dal «divieto di mangiarsi l’un con l’altro» che «inaugura il mondo umano sotto il segno della giustizia» (Esiodo) al tormentone di Feuerbach, «l’uomo è ciò che mangia»; da Kierkegaard a Dostoevskij; da Sartre alle note di Roland Barthes sul «mito» bistecca e patatine. L’autore ha l’abilità di trasformare il saggio in una lettura coinvolgente, a tratti divertente, eppure densa di informazioni e considerazioni filosofiche.
Se Daniel Pennac scriveva provocatorio «se oggi l’uomo non mangia più l’uomo, è unicamente perché la cucina ha fatto dei progressi», Riva ci porta dalle cene di Trimalchione alle Confessioni di Sant’Agostino, dalle sofferenze dell’affamato Don Chisciotte al rapporto tra l’atto di alimentarsi e la percezione del nostro corpo. In un viaggio intenso e illuminante, capace di farci uscire dalla confusione delle troppe immagini e delle troppe parole che oggi circondano il mondo del cibo.