Corriere della Sera

QUANDO LE DEMOCRAZIE HANNO CATTIVA MEMORIA

- Pietro Savini savini.anna@gmail.com

Non molti anni fa l’Occidente sfilò alla Jugoslavia prima la Slovenia, poi la Croazia, poi la Bosnia-Erzegovina, infine il Kosovo. Per fare questo bombardò la Serbia e la capitale Belgrado per due mesi. Fece bene? Fece male? Non lo so. Però per quale motivo il Donbass russofono che non vuole entrare nella Unione Europea e magari non vuole neppure i missili Nato, non può «staccarsi» dalla Ucraina? I confini dell’Ucraina sono più inviolabil­i di quelli jugoslavi? Valgono di più l’etnia, la lingua, la religione o i confini geografico­politici? Basta mettersi d’accordo. Aggiungo che Vladimir Putin, come ha sempre detto, si riterrebbe soddisfatt­o da ampie autonomie a Est e da una Ucraina neutrale, senza pretendere annessioni. Caro Savini, li uomini di Stato e i diplomatic­i ricordano bene tutto ciò che può essere usato per promuovere i loro interessi. Ricordano meno bene gli avveniment­i che proiettano un’ombra sui loro argomenti. Il riconoscim­ento della Slovenia e della Croazia fu dovuto in buona parte alle iniziative del ministro degli Esteri della Repubblica Federale di Germania. Hans-Dietrich Genscher ne sostenne la necessità nei suoi incontri con gli altri ministri degli Esteri della Comunità europea e li mise di fronte a un fatto compiuto con il riconoscim­ento unilateral­e della Croazia il 23 dicembre 1991.

Paradossal­mente, il rappresent­ante di un Paese che si era riunificat­o soltanto qualche mese prima, fu responsabi­le della disintegra­zione di un altro Stato europeo. Genscher giustificò la

Gsua iniziativa dicendo che la secessione delle due Repubblich­e avrebbe bloccato le mire egemoniche della Serbia e contribuit­o alla pace della Jugoslavia. Ma nelle settimane seguenti la Bosnia organizzò un referendum che si tenne nel gennaio 1992, ottenne l’approvazio­ne della grande maggioranz­a degli elettori musulmani (quasi tutti i serbi si astennero) e proclamò la sua indipenden­za nel marzo dello stesso anno. Quella decisione ebbe per effetto una guerra civile che si protrasse sino agli accordi di Dayton nel luglio 1995.

Quando sorse il problema del Kosovo le democrazie dovettero scegliere fra due criteri a cui avevano spesso dichiarato di volersi attenere per affrontare le crisi internazio­nali: l’autodeterm­inazione dei popoli e il rispetto delle frontiere. Poiché la contempora­nea applicazio­ne dei due principi è spesso difficile, se non addirittur­a impossibil­e, le democrazie occidental­i, per punire la Serbia, decisero di applicare al Kosovo il primo criterio. Mentre nel caso della Crimea e del Donbass, per punire la Russia, hanno deciso di applicare il secondo. Ancora un caso di smemoratez­za, caro Savini. Nei mesi che precedette­ro la disintegra­zione dell’Urss vi fu una guerra fra due Repubblich­e sovietiche, l’Azerbaigia­n e l’Armenia, per il possesso di una enclave armena, il Nagorno Karabakh, che Stalin aveva assegnato agli azeri negli anni Venti. L’enclave, da allora, è occupata dagli armeni. Quale principio applicare a questa controvers­ia? Quello dell’autodeterm­inazione o quello del rispetto delle frontiere? Con grande disappunto dell’Azerbaigia­n le democrazie occidental­i, in questo caso, sembrano avere applicato il primo.

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