QUANDO LE DEMOCRAZIE HANNO CATTIVA MEMORIA
Non molti anni fa l’Occidente sfilò alla Jugoslavia prima la Slovenia, poi la Croazia, poi la Bosnia-Erzegovina, infine il Kosovo. Per fare questo bombardò la Serbia e la capitale Belgrado per due mesi. Fece bene? Fece male? Non lo so. Però per quale motivo il Donbass russofono che non vuole entrare nella Unione Europea e magari non vuole neppure i missili Nato, non può «staccarsi» dalla Ucraina? I confini dell’Ucraina sono più inviolabili di quelli jugoslavi? Valgono di più l’etnia, la lingua, la religione o i confini geograficopolitici? Basta mettersi d’accordo. Aggiungo che Vladimir Putin, come ha sempre detto, si riterrebbe soddisfatto da ampie autonomie a Est e da una Ucraina neutrale, senza pretendere annessioni. Caro Savini, li uomini di Stato e i diplomatici ricordano bene tutto ciò che può essere usato per promuovere i loro interessi. Ricordano meno bene gli avvenimenti che proiettano un’ombra sui loro argomenti. Il riconoscimento della Slovenia e della Croazia fu dovuto in buona parte alle iniziative del ministro degli Esteri della Repubblica Federale di Germania. Hans-Dietrich Genscher ne sostenne la necessità nei suoi incontri con gli altri ministri degli Esteri della Comunità europea e li mise di fronte a un fatto compiuto con il riconoscimento unilaterale della Croazia il 23 dicembre 1991.
Paradossalmente, il rappresentante di un Paese che si era riunificato soltanto qualche mese prima, fu responsabile della disintegrazione di un altro Stato europeo. Genscher giustificò la
Gsua iniziativa dicendo che la secessione delle due Repubbliche avrebbe bloccato le mire egemoniche della Serbia e contribuito alla pace della Jugoslavia. Ma nelle settimane seguenti la Bosnia organizzò un referendum che si tenne nel gennaio 1992, ottenne l’approvazione della grande maggioranza degli elettori musulmani (quasi tutti i serbi si astennero) e proclamò la sua indipendenza nel marzo dello stesso anno. Quella decisione ebbe per effetto una guerra civile che si protrasse sino agli accordi di Dayton nel luglio 1995.
Quando sorse il problema del Kosovo le democrazie dovettero scegliere fra due criteri a cui avevano spesso dichiarato di volersi attenere per affrontare le crisi internazionali: l’autodeterminazione dei popoli e il rispetto delle frontiere. Poiché la contemporanea applicazione dei due principi è spesso difficile, se non addirittura impossibile, le democrazie occidentali, per punire la Serbia, decisero di applicare al Kosovo il primo criterio. Mentre nel caso della Crimea e del Donbass, per punire la Russia, hanno deciso di applicare il secondo. Ancora un caso di smemoratezza, caro Savini. Nei mesi che precedettero la disintegrazione dell’Urss vi fu una guerra fra due Repubbliche sovietiche, l’Azerbaigian e l’Armenia, per il possesso di una enclave armena, il Nagorno Karabakh, che Stalin aveva assegnato agli azeri negli anni Venti. L’enclave, da allora, è occupata dagli armeni. Quale principio applicare a questa controversia? Quello dell’autodeterminazione o quello del rispetto delle frontiere? Con grande disappunto dell’Azerbaigian le democrazie occidentali, in questo caso, sembrano avere applicato il primo.