Mattarella, arbitro che tifa per il gioco e «la stabilità»
L’asse con Renzi sul governo. Il Colle invoca stabilità e tutti i partiti hanno interesse a mantenerla
Un arbitro può anche fare il tifo per il gioco senza per questo venir meno al proprio ruolo. In fondo è la passione per il gioco che porta ad arbitrarlo. Così Mattarella ha fatto capire come la pensa ai suoi interlocutori, in questo primo assaggio del suo mandato.
e di cui c’è traccia anche nello scherzoso botta e risposta tra i due avvenuto ieri, quando il Consiglio dei ministri stava per concludersi con reciproca soddisfazione. Il premier, che doveva metabolizzare lo scontro con il titolare dell’Interno sulla scelta per il Colle, si è rivolto al leader di Ncd dicendo: «Angelino, se penso ancora al complotto che stavi organizzando contro di me con Berlusconi al Viminale...». E l’altro: «Nessun complotto, non c’era il movente per farlo».
La stabilità è «un patrimonio», appunto, e non solo per i partiti della maggioranza. Tutti hanno bisogno di tempo per definire i rispettivi progetti, e siccome Renzi ha interesse a incrociare la ripresa economica per incassare al momento opportuno il dividendo elettorale, ha anche interesse che la sua navigazione fino al termine della legislatura non sia punteggiata da scogli sulla rotta. Di qui il patto con Alfano, a cui il premier garantirà la visibilità dovuta a un partner di governo su alcuni temi, e da cui il premier si aspetta lealtà quando se ne affronteranno altri, magari indigesti ad Area popolare.
In fondo, dopo l’unificazione dei gruppi di Ncd e Udc in Parlamento, e dopo la confluenza di parte di Scelta civica nel Pd, attorno al tavolo di Palazzo Chigi siedono ormai i rappresentanti di due sole forze politiche. Ed è così che ieri Ap ha potuto farsi valere sui due provvedimenti chiave del governo: il Jobs act e le liberalizzazioni, sulle quali i ministri Lorenzin e Lupi hanno ottenuto ciò che chiedevano. Verranno momenti più duri, sui diritti civili e sul diritto di cittadinanza per esempio, ma nessuno per ora vuol mettere a repentaglio quel «patrimonio» della stabilità. Né Renzi intende utilizzare — così ha spiegato — ruote di scorta in Parlamento come i nuovi Responsabili.
Poi però arriverà il momento delle scelte, e sembra scontato che le strade si separeranno per questioni di famiglia. Una forza è legata al Pse, l’altra al Ppe: un fattore dirimente che sarà accentuato dal futuro meccanismo elettorale. Così se il premier ha accantonato il disegno del «partito della nazione» — e sta irrobustendo il Pd con innesti esterni e con una nuova geografia delle correnti interne — sul fronte opposto non intralcerà il lavoro di Alfano alla nascita di quell’area moderata oggi ridotta in macerie e attraversata dalle scorribande leghiste.
Paradossalmente, la ripresa del dialogo tra Ap e Forza Italia in vista delle Regionali avviene nel momento in cui i due movimenti sono più distanti rispetto al recente passato, dato che i berlusconiani — oltre ad essere fuori dal governo — si sono messi all’opposizione delle riforme. Tuttavia il riavvicinamento è dettato da un altro fattore dirimente che ieri Matteo Salvini ha esplicitato su Repubblica: il suo modello di rassemblement si propone di essere alternativo alle forze che si richiamano al Ppe, e il suo obiettivo non è l’alleanza con Berlusconi ma i voti di ciò che resta del berlusconismo, dando già per acquisita la fine del fondatore del vecchio centrodestra. Questo per Forza Italia è inaccettabile.
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