La vicenda
Nell’ultimo mese i duelli tra i due capigruppo di Forza Italia Renato Brunetta (Camera) e Paolo Romani (Senato) sono diventati sempre più frequenti.
Il 20 gennaio lo strappo della minoranza pd sulla legge elettorale crea divergenze di vedute anche tra i forzisti. Romani annuncia: «Riteniamo di sostituire i senatori». Alla Camera gli azzurri auspicano le dimissioni di Renzi.
Dopo il voto su Mattarella e la fine del patto del Nazareno cresce la tensione.
Martedì Brunetta va da solo al Colle per incontrare Mattarella e porta con sé un documento che Romani bolla come «non condiviso», «espressioni che trovo sbagliate». Brunetta replica: «Umana comprensione, perché è rimasto orfano del Nazareno».
Le agenzie di stampa, a metà mattina, battono un comunicato congiunto di Renato Brunetta e Paolo Romani.
Uno di quei comunicati con i merletti, il fiocco e dentro tanti cuoricini. Quaranta righe. Il cui succo è: «Abbiamo litigato, è vero, ma è anche normale litigare un po’, adesso comunque facciamo la pace perché uniti si vince e, soprattutto, perché Silvio Berlusconi è il nostro grande capo».
( Per chi avesse saltato le puntate precedenti: Brunetta è sempre stato un feroce oppositore di ciò che viene chiamato patto del Nazareno, mentre Romani, alla tenuta e alla realizzazione di quel patto tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, ha sempre lavorato con tenacia e lealtà).
Comunque la cosa divertente è che, appena un’ora fa, il capogruppo alla Camera, Brunetta, aveva randellato di nuovo il capogruppo al Senato, Romani. In tivù, su Canale 5, parlando con Maurizio Belpietro. Sentite. «... La rottura di un patto non può che comportare anche divisioni. C’è chi, come Romani, aveva molto investito sul patto del Nazareno e alla fine è rimasto spiazzato e chi, come me, aveva diffidato della gestione del patto avendo poi ragione...».
Forse è il caso di sentire Romani. Ma Romani è dentro una riunione. «Le dispiace se ci sentiamo più tardi?» ( La cortesia di Romani, in Parlamento, è nota: 67 anni, imprenditore, uomo abituato al potere, scaltro, rapido, diplomatico, cinico, esperto di mass media, conoscitore della politica, di lui Berlusconi si fida totalmente)
Va bene, in attesa di Romani, leggiamoci i giornali.
E cosa c’è sui giornali? Altre legnate, ancora Brunetta, che furioso per l’intervista rilasciata a Repubblica dal suo pari grado del Senato — «Non sono andato al Quirinale con Brunetta perché il suo documento non era condiviso» — regala dosi di perfidia.
«Oh, beh... Per Romani io nutro umana comprensione perché, in fondo, è rimasto orfano del Nazareno... di quel patto lì, insomma. E lo capisco, comunque, certo che lo capisco: perché d’ora in poi non avrà più incontri privilegiati con la deliziosa Maria Elena Boschi».
Ma davvero quei due pensano di poter fare pace dettando un comunicato di quaranta righe?
Una cosa, però, bisogna dirla.
In battaglia, Renato Brunetta si esalta. Contro Renzi o contro Romani, fa lo stesso. Scatta e accusa, provoca, polemizza. Ed è perfettamente inutile chiedergli spiegazioni: perché subito ti mette addosso quel suo sguardo che non capisci mai se è un ghigno di commiserazione (la mia strategia è troppo complicata per te, miserabile) o un sorriso di sfida (non hai idea di quanto io sia furbo e colto, a scuola ero il più bravo e passavo i compiti a tutti, adesso guarda che ti combino).
Però è un attimo: ti volti ed è già laggiù, a rilasciare altre dichiarazioni. Solo che la sua voce ha improvvisamente cambiato tono. Lo sguardo è piatto, privo di espressione.
Perché Brunetta attacca e ripiega. Attacca e chiede scusa.
Un mese fa — il patto del Nazareno ancora in vita e l’elezione del Capo dello Stato imminente — rilasciò un’intervista ad Aldo Cazzullo, in cui i passaggi più lievi erano questi: «Sto usando solo il 5% del mio potenziale contro Renzi. Se insiste con le riforme prima delle elezioni per il Quirinale, sarà guerra totale». Berlusconi, letta l’intervista (in verità, abbastanza premonitrice) si infuriò e rimproverò duramente il suo capogruppo. Che, soave, commentò: «Berlusconi perfetto come sempre».
Insieme
Il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi alla Camera dei deputati il 19 febbraio 2014 con i capigruppo al Senato Paolo Romani (a sinistra) e a Montecitorio Renato Brunetta (a destra) all’uscita dal colloquio con l’allora presidente del Consiglio incaricato Matteo Renzi
Perché il giochino — raccontano tutti quelli che hanno ronzato dalle parti del Nazareno — è sempre stato questo: Brunetta partiva al mattino urlando e insinuando gli accordi più torbidi; la Boschi, lette le agenzie, si spazientiva e telefonava a Verdini (insieme a Gianni Letta, depositario dei segreti del patto) dicendo, più o meno, «questo Brunetta dovete calmarlo, dategli una camomilla»; Verdini allora telefonava al Cavaliere; il Cavaliere chiamava a sua volta Brunetta, ordinandogli la marcia indietro; e Brunetta, puntualmente, spesso attraverso le pagine del suo «Mattinale», che sembrava stampato su Marte, faceva placidamente marcia indietro.
È più o meno quello che è successo anche stavolta, senatore Romani? (sono le cinque del pomeriggio, e Romani è uscito dalla sua riunione: a Milano, roba di candidature).
«Sa com'è: io e Renatino siamo due ragazzi un po’ biricchini che ogni tanto litigano ma che poi fanno subito pace».
Dicono che sia stato lei, Romani, a perdere la pazienza dopo l’ultimo attacco subito su Canale 5...
«Beh... ho chiamato Renato e gli ho detto: non sarà il caso di finirla?». E lui? «Va benissimo, Paolo. Ti voglio bene».
I tempi L’affettuosa nota congiunta esce pochi minuti dopo l’ultimo scambio di accuse Romani Io e Renatino siamo due ragazzi un po’ birichini che ogni tanto litigano ma poi fanno subito pace