Corriere della Sera

La mozione degli affetti di Berlusconi: non spacchiamo­ci, sarebbe una sconfitta

Solo 25 deputati su 70 alla riunione di Brunetta. La preoccupaz­ione per la sentenza

- Paola Di Caro

Chi lo conosce bene ritiene che, in queste ore, il voto sulle riforme per Silvio Berlusconi sia «al 220esimo posto nelle sue priorità», e la politica in genere «al 221esimo...». Perché il leader azzurro, nel giorno in cui la Camera dà il via libera in prima lettura alla riforma del Senato, attende con ansia un altro verdetto: quello della Cassazione su Ruby. Che potrebbe spazzar via o far tornare attuale un incubo durato anni.

E però, come dice una sconfortat­a Daniela Santanchè, travagliat­a tra la pancia — che le dice di astenersi sulle riforme — e il cuore, che la indurrebbe a seguire l’indicazion­e del capo perché «questo sta diventando un voto di fiducia su di lui», il passaggio di oggi per Berlusconi è delicatiss­imo. E da come ne uscirà il suo partito — sempre più diviso e dilaniato — si capirà molto della sua capacità di leadership attuale.

L’ex premier lo sa, per questo ieri ha chiamato al telefono più di un indeciso fra gli azzurri pregandolo di «darmi retta, e di votare no, come vi chiedo: non fatemi ritrovare con un gruppo spaccato, per me sarebbe una sconfitta. È importante che mi seguiate in un momento così difficile, dopo quanto ho fatto per tutti voi e per questo partito». Una vera e propria mozione degli affetti che può fare breccia sui tanti maldipanci­sti, delusi, arrabbiati, spaventati, ma che può anche rivelarsi tardiva, inutile.

Sì, perché FI è ormai divisa in mille fazioni dai mille diversi interessi e recriminaz­ioni, e nel voto di oggi tutto può accadere. Basti pensare al travaglio di una Maristella Gelmini, una che considera Berlusconi «un padre» ma che, contraria alla linea «estrema» sulle riforme e di inseguimen­to alla Lega è tentata dall’astenersi a sua volta, per mandare l’ultimo segnale che bisogna fermarsi prima che sia troppo tardi.

Deciderà solo oggi la Gelmini, e tanti faranno come lei, ma ieri al gruppo convocato da Brunetta per approvare l’appello di Berlusconi a votare no a riforme che «ci portano a una situazione illiberale» erano presenti non più di 25 deputati su quasi 70. E anche solo le assenze testimonia­no di uno scollament­o inesorabil­e tra vertici e truppe, nonostante la linea indicata dal capo alla fine sia passata.

Raccontano che non sono solo i «verdiniani», di per sé un gruppo non numerosiss­imo, a insistere per un voto di astensione che non rompa i ponti con Renzi e non trascini FI su posizioni estreme, ma tanti altri stanno sposando la linea dell’ex coordinato­re in contrasto con «il protagonis­mo solitario di Brunetta, che ci isola pur di nutrire il suo ego smisurato». E altri ce l’hanno con i big più vicini a Berlusconi, da Toti a Bergamini, ritenuti tra gli ispiratori della linea dura dell’ex premier « anche se nel gruppo tanti la pensano diversamen­te, ma loro dicono che tanto chi si vuole accasare altrove ha già deciso ed è inutile rincorrerl­o...».

C’è quindi una guerra di tutti contro tutti, verdiniani contro cerchio magico e viceversa, fittiani contro tutti, cani sciolti per la sopravvive­nza. Oggi, paradossal­mente, alla Camera si potrebbe assistere a un voto che vede convergere sul no i fedelissim­i di Berlusconi e i ribelli fittiani, che sempre hanno votato contro riforme e legge elettorale. Mentre tante assenze potrebbero registrars­i nell’area che pure era scettica sui metodi di Verdini, ma che oggi vede nella sua linea l’unica per non affondare. Potrebbero essere poche le astensioni — Gianfranco Rotondi voterà addirittur­a per il sì — ma molte le assenze, e sarà comunque il segnale che lo strappo è difficile da ricucire: è possibile una scalata di Verdini e dei suoi per riprendere le posizioni interne perdute, ma perfino la costituzio­ne di gruppi autonomi. Un colpo durissimo, nel giorno dell’ennesimo (e non ultimo) verdetto su Berlusconi.

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