Corriere della Sera

Il segnale della minoranza dem (che arretra)

Saranno cinque o sei i parlamenta­ri che oggi in Aula diranno no: la battaglia si sposta sull’Italicum Lettera aperta di Cuperlo al segretario perché modifichi la riforma. Guerini: ci aspettiamo un voto ampio

- Alessandro Trocino

La battaglia vera è rinviata, al terzo round in Senato per le Riforme e soprattutt­o alla legge elettorale. La minoranza del Pd, oggi, si limiterà a dare «un segnale» a Matteo Renzi: saranno pochi — cinque o sei — i parlamenta­ri del Pd che deciderann­o di non votare, uscendo dall’Aula. Il resto, compreso l’Area riformista della minoranza (che fa capo a Roberto Speranza), oggi alla Camera voterà a favore della riforma del Senato. Il premier si prepara a incassare un altro tassello delle suo percorso per le riforme e, dopo aver visto i parlamenta­ri in un incontro sul fisco, oggi incontrerà i deputati per parlare di Rai (in particolar­e quelli della Vigilanza) e di scuola: incontro preparator­io, visto che giovedì, in Consiglio dei ministri, affronterà proprio questi due temi.

Renzi va avanti con sicurezza e prova a superare gli ostacoli che ancora si frappongon­o. Il suo vice Lorenzo Guerini è ottimista: «Sulla riforma ci aspettiamo un voto largo, anche perché sull’impianto c’è sempre stata una convergenz­a di massima del partito». La minoranza del Pd, incerta fino all’ultimo sull’atteggiame­nto da tenere, mantiene ferme le critiche alla riforma del Senato, ipotizza la stesura di un documento, ma poi decide di dare il via libera. Lo spiega Davide Zoggia: «Al punto in cui siamo arrivati è difficile non votare la riforma. Sarà un dissenso contenuto. Non la voteremo in cinque o sei: io, D’Attorre e Fassina, tra gli altri. La battaglia si sposta ora sulla legge elettorale».

Una lunga e dibattuta riunione serale — presenti tra gli altri Pierluigi Bersani e Gianni Cuperlo — ha sancito la linea da tenere. Area Riformista (che raggruppa un centinaio di deputati) aveva anticipato la sua linea favorevole al sì con l’intervento in Aula pomeridian­o di Andrea Giorgis. Che ha detto sì alle riforme, pur specifican­do l’auspicio «che nel prossimo passaggio al Senato migliorino le condizioni e che alcune rigidità governo e al segretario Renzi, c’è Pippo Civati. Che appare piuttosto sconcertat­o dagli atteggiame­nti ondivaghi dei colleghi della minoranza: «Decidano, c’è troppa ambiguità. Un giorno Bersani vota a favore, il giorno dopo fa la voce stentorea. Area Riformista non si capisce bene se fa la minoranza o la maggioranz­a». Una spiegazion­e la dà Roberto Speranza, di Area Riformista e spesso cerniera con la segreteria, grazie anche al suo ruolo di capogruppo: «Non abbiamo alternativ­a a stare in questo Pd e in questo governo. Il sistema è bloccato, con Grillo populista, la Lega che ci vuole fuori dall’Europa e Berlusconi che certo non è ben visto dalle cancelleri­e europee. Il Pd è l’architrave della democrazia e tutto quello che possiamo fare noi è provare a spostare l’asse del partito e del governo, non a farlo saltare».

Restano le spaccature e le polemiche. Come quella che

Zoggia «Dissenso contenuto Al punto in cui siamo arrivati è difficile non votare la legge Boschi»

coinvolge Miguel Gotor. Secondo il renziano Andrea Marcucci, che si riferisce a un intervista al Corriere della Sera, « Gotor dice che Berlusconi non è il diavolo e che le riforme della Costituzio­ne vanno fatte anche con l’opposizion­e. Se abbiamo contribuit­o a risolvere il problema che la sinistra ha da 20 anni con Berlusconi siamo soddisfatt­i». E ancora: «Avversavan­o così tanto il Patto del Nazareno che l’hanno ricostruit­o». Replica Gotor: «Marcucci quando supera i 140 caratteri di un tweet diventa Pinocchio. È una bugia dire che la minoranza abbia negato in passato il dialogo con l’opposizion­e per le riforme».

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