Biscotti, selfie, abbracci La comitiva degli argentini in viaggio verso don Jorge
13 marzo 2013 Jorge Mario Bergoglio, appena eletto Papa, parla a migliaia di fedeli in piazza San Pietro. A tenere il microfono è monsignor Guillermo Karcher fila. Docili, emozionati, i «passeggeri» si preparano, lasciando sugli scalini una scatola di alfajores, i biscotti argentini fatti con noce e mandorla; oppure barattoli di dulce de leche, immaginette sacre, lettere per il pontefice. Spetterà al «capotrenino» fargliele ricevere: anche se la roba da mangiare finisce alla Casa delle suore di Madre Teresa di Calcutta.
Il trenino parte dalla caserma delle guardie svizzere, bordeggia il torrione dello Ior verso piazza San Pietro. Infila un portoncino che sfocia sulla Scala Reale. Poi piega a sinistra e arriva sul sagrato, alle spalle dell’altare all’aperto. Don Guillermo sa di essere un volto noto, tra gli argentini: se non altro perché era il sacerdote che sul balcone teneva in mano il microfono che diffuse le prime parole del Papa alla folla di piazza San Pietro, la sera del 13 marzo 2013. Quando arrivano nella piazza, proprio sotto quel balcone, i «passeggeri» con il biglietto della «lista A» vengono fatti accomodare nella prima fila. Quelli della B nelle tre dietro. Gli argentini arrivano per ultimi nella piazza, e se ne vanno per ultimi. Il Papa si avvicina a loro solo dopo avere salutato tutti. E si intrattiene a lungo, riconoscendo volti familiari, e lasciandosi raccontare storie di parentele, amicizie, legami, investito da un’ondata di calore, di simpatia e di allegra confusione, che sottolinea più l’orgoglio nazionale che la fede religiosa...
Ma quel contatto punteggiato da parole in uno spagnolo lavato nel Rio de la Plata è solo il punto terminale di una lunga procedura. Ogni «trenino» viene costruito ormai con quasi sei mesi di anticipo. A dicembre già si parla dell’udienza di
Con i fedeli
Monsignor Guillermo Karcher, che lavora all’Ufficio protocollo del Vaticano, guida in San Pietro il «trenino» dei fedeli argentini fine giugno 2015. Karcher ha da mesi una «griglia» digitale sulla quale gli argentini debbono scrivere alla Segreteria di Stato nome e cognome, motivazione della visita, città di provenienza, eventuali accompagnatori, numero di telefono e email. Scorrendola, ci sono le «pedidas de baciamano», le richieste di baciamano da parte dell’ambasciata argentina; poi prenotazioni di udienze private; segnalazioni della Nunziatura. Francesco le esamina in anticipo, e quando vede qualche nome noto, chiede che venga messo «fuori dalle transenne», per abbracciarlo e salutarlo di persona sotto la tettoia dell’altare. Di solito sono i governatori delle province argentine, i ministri nazionali, i gruppi organizzati.
E poi ci sono i superfortunati ammessi a Casa Santa Marta. Chi assiste a quelle udienze racconta un caos molto latinoamericano, alimentato e non arginato dall’ex arcivescovo di Buenos Aires. Compresi «selfie» e scambi di battute in dialetto porteño puro: una lingua tutta bergogliana, che il pontefice a volte utilizza perfino in qualche udienza, provocando espressioni sorprese anche tra diplomatici di lingua spagnola poco avvezzi al suo gergo... Ma nonostante questo, è difficile scorgere una «piccola Buenos Aires» tra le mura vaticane e nella stessa Casa Santa Marta. È vero, la sua cerchia stretta è boarense. Al mattino presto, dopo avere preso l’aspirina contro il mal di testa, incontra due connazionali, i padri Pedacchio e Karcher. Il primo, tra le altre cose, ha il compito di aggiornarlo ogni domenica sui risultati della squadra del San Lorenzo; il secondo gli fa una sorta di rassegna stampa quotidiana dei giornali di Buenos Aires, La Naciòn e El Clarìn in testa.
... Ma Francesco non ha voluto un’udienza speciale per gli argentini, come faceva con i polacchi Giovanni Paolo II. E nonostante i suoi connazionali in Vaticano oggi appaiano tutti «bergogliani», Francesco sa stabilire le distanze...
Nessuno è autorizzato a parlare in suo nome, né a ridurre il suo pontificato a un fatto interno argentino. Nei colloqui e negli scambi di rapporti tra Roma e Buenos Aires, il tema riaffiora in continuazione... Esiste una sorta di breviario orale che la cerchia degli amici di Francesco ha indicato come vademecum ad alcuni argentini che contano. Suggerisce di non ridurre il Papa a un fattore della realtà nazionale; di non manipolarlo al servizio di interessi politici di parte in Argentina; di non ritenere che Francesco possa risolvere tutti i problemi del Paese, scaricando la responsabilità degli argentini e della loro classe dirigente... Ma non è facile far capire che il Papa non deve essere «nazionalizzato». La tentazione di considerare Bergoglio in primo luogo il «loro» pontefice è umana...