La sfida del recupero per salvare il territorio
immobiliare sta ripartendo. I dati dell’Agenzia delle Entrate dicono che nel 2014 le vendite di case sono aumentate del 3,6% e anche il non residenziale, con l’eccezione degli uffici, ha fatto registrare lievi aumenti. Stanno inoltre crescendo le erogazioni dei mutui, volano indispensabile per far tornare le famiglie all’acquisto. Meno buone le notizie per l’industria edile: il 2014 si è chiuso con un calo del 6,9% della produzione e per la ripresa i costruttori dovranno aspettare fin quando non si sarà assorbito lo stock di case nuove non ancora vendute nei cantieri. Per questo, per chi opera nell’edilizia, il mercato più interessante appare quello dal recupero. Secondo l’Ance (Associazione nazionale costruttori edili) nel 2014 la manutenzione residenziale ha fatto segnare +2,9% mentre il fatturato del nuovo ha registrato -19%. Dal 2008 gli investimenti per le nuove case sono caduti del 62%, la manutenzione ha fatto +18,5%, grazie anche alle agevolazioni fiscali (bonus ristrutturazione ed energetico), che solo nel 2014 hanno indotto investimenti per 20 miliardi. Numeri che possono crescere ancora. Secondo Nomisma, il patrimonio residenziale italiano (11,8 milioni di edifici) per oltre il 60% ha più di 40 anni e i proprietari spendono 45 miliardi all’anno per consumi termici ed elettrici. Se si intervenisse sulla parte più vetusta (2,4 milioni di stabili) servirebbero 100 miliardi di euro e con meccanismi di incentivazione analoghi agli attuali si rientrerebbe dell’investimento in 7 anni. Vi sono poi le 964 mila unità destinate ad usi istituzionali (scuole, uffici e caserme) di proprietà pubblica. Le amministrazioni potrebbero rendere più efficienti le strutture risparmiando sui consumi energetici e fare cassa dismettendo gli edifici non strategici, senza frapporre ostacoli sui cambi di destinazione. Con un vantaggio non da poco per il sistema: avremmo immobili equiparabili a quelli nuovi senza consumare altro territorio.
Per provare a credere alla varietà dei paesaggi dell’Azerbaigian, basta un dato. Se al mondo esistono 11 bioclimi, da queste parti possono metterne nel loro curriculum meteorologico nove diversi. Si passa dal verde color Alpi svizzere ai deserti caucasici.
In mezzo sta tutto l’orgoglio di un Paese che sente l’incredibile bisogno di mettersi in vetrina, ora che per la prima volta partecipa a un’edizione di Expo con un padiglione indipendente, dopo alcune esperienze di gruppo. Per cancellare l’immagine di paese alla periferia del mappamondo. Noto come cenerentola del calcio, con quel nome che qualcuno non sa nemmeno scrivere correttamente. Oltre a Baku, capitale in via di modaiola ricostruzione, c’è di più.
Studio Simmetrico ha vinto il concept per aggiudicarsi la realizzazione del padiglione azero. Più che uno studio, un network di giovani creativi, con base a Milano, con competenza trasversali. Tutti italiani, tutti under 40. «Una sfida incredibile, tutta da interpretare» racconta il project manager Riccardo Cigolotti, 37 anni. L’anima del progetto è stata allargare l’interpretazione dei concetti di alimentazione e sostenibilità al paesaggio che gli sta intorno.
Alimentare il pianeta significa (anche) nutrire la sua bellezza. «Stare ancorati al tema cibo sarebbe stato riduttivo per un paese come questo» spiega Cigolotti, che apre un libro di ricordi