Ciclismo, duro atto d’accusa Lotta al doping debole e ambigua
Rapporto- choc della Commissione per la riforma: omissioni e coperture della Federazione internazionale. Controlli inefficaci e talvolta solo di facciata
Simbolo Lance Armstrong, 43 anni, professionista dal 1992 al 2011, aveva conquistato per sette volte consecutive il Tour de France dal 1999 al 2005 (Afp)
Ce n’è per tutti. E più di tutti ce n’è per i politici che hanno governato i vent’anni neri del ciclismo mondiale con una «federazione internazionale autocratica, mal gestita e sistematicamente impegnata a nascondere all’opinione pubblica le sue responsabilità in fatto di doping».
Ce n’è anche per sponsor, medici, procuratori, manager e naturalmente per gli atleti ma il «Rapporto sullo stato del ciclismo» richiesto dall’Unione ciclistica internazionale alla Commissione per la riforma è prima di tutto un duro atto d’accusa contro se stessa. Redatto da tre esperti di diritto super partes (tra cui l’australiano Peter Nichols, che si è occupato del genocidio di Srebrenica) grazie alle 174 testimonianze (sei italiani soltanto, tra cui gli ex dopati Riccò e Piepoli), il rapporto sviscera il passato per delineare future modalità di lotta al doping. Uno stato di fatto tuttora ambiguo, visto che il principale sponsor elettorale dell’attuale presidente Uci Brian Cookson è il miliardario Makarov che gli esperti accusano di essere portatore di conflitti di interesse pesanti oltre che tra i pochi a rifiutare di testimoniare in Commissione. Makarov è boss della federazione russa, del team Katusha e membro dell’Uci.
Nel rapporto si parla tanto di Armstrong e delle enormi (e ben pagate) coperture politiche ottenute in carriera grazie agli ex presidenti Verbruggen e McQuaid, ma anche di Alberto Contador. La sua positività al clenbuterolo al Tour 2010 non gli venne formalizzata per lettera, come a tutti i corridori, ma comunicata di persona in un riservatissimo meeting in Spagna da tre membri dell’Uci che avrebbero discusso con lui anche le «strategie di uscita». Il processo all’atleta si fece (sostiene il Rapporto) per l’insistenza dell’Agenzia Mondiale Antidoping. Fosse stato per l’Uci, Contador (poi condannato) forse l’avrebbe fatta franca perché, come con Armstrong, la federazione tutelava le sue star anche quando peccavano, per paura di perdere visibilità e risorse.
Il rapporto sgonfia le certezze etiche del ciclismo contemporaneo. Miglioramenti ci sono, certo, ma il passaporto biologico è ormai inefficace contro i micro dosaggi di Epo e le trasfusioni formato mignon. I pochi positivi? Spiegabili anche col fatto che dalle 23 alle 6 di mattina non si fanno controlli ed è in questa fascia che molti atleti si doperebbero. Il controllo dei team sugli atleti più a rischio? In alcuni casi solo di facciata. Come si spiega che l’Astana nel 2014 abbia «perso contatto» per ben 71 giorni con un suo atleta, poi risultato dopato? Cosa ha fatto e dove è stato il ciclista in quei due mesi?
Cosa fanno decine e decine di corridori in luoghi come Montecarlo, dove, suggerisce il rapporto stesso, forse non cercano solo vantaggi fiscali? È vero che c’è chi nasconde «motorini» illegali nel telaio della bici e c’è chi non ne controlla la presenza? Se il ciclismo mettesse in pratica anche solo la metà delle tante indicazioni contenute nel Rapporto la sua etica diventerebbe inattaccabile. Il Rapporto sullo stato del ciclismo è stato consegnato al presidente dell’Unione ciclistica internazionale Brian Cookson (prima foto dall’ alto). Tra i sei italiani ascoltati ci sono anche gli ex dopati Riccardo Riccò (seconda foto dall’alto) e Leonardo Piepoli (terza foto). Molto lo spazio dedicato ad Alberto Contador (quarta foto)
L’illusione I miglioramenti ci sono, ma dovuti ai micro dosaggi non rilevabili e alle verifiche di facciata