Corriere della Sera

Via libera alla riforma della Costituzio­ne In Forza Italia contestata la linea del leader

Primo voto finale alla Camera: 357 favorevoli, 125 contrari e 7 astenuti FI tiene, in 17 protestano. Il leader: noi compatti, basta protagonis­mi

- M. Franco, Labate, Martirano, Trocino

La Camera ha approvato la riforma costituzio­nale del Titolo V e del Senato con 357 sì e 125 no. Soddisfatt­o il premier Matteo Renzi: «Un Paese più semplice e giusto». Ma le divisioni interne sia al Pd sia a Forza Italia annunciano un ritorno problemati­co del provvedime­nto al Senato. La minoranza del Pd minaccia inoltre di non votare l’Italicum alla Camera se non otterrà modifiche: «Altrimenti è il mio ultimo sì», avverte Bersani. Tra i berlusconi­ani, solo Rotondi opta per il «sì», ma in 17 — verdiniani, ma anche Daniela Santanchè — fanno sapere di aver votato «no» solo «per lealtà e affetto» nei confronti del leader.

Sulla riforma costituzio­nale che cancella il Senato elettivo — approvata ieri alla Camera in prima lettura con 357 sì, 125 no, 7 astensioni — è rientrato il dissenso plateale alimentato dalle minoranze del Pd e di FI. Ma nei due partiti, uniti fino a 40 giorni fa dal patto del Nazareno e ora divisi su sponde opposte, i distinguo e i mal di pancia non si placano. Nella minoranza dem, che ieri ha sostanzial­mente sposato la disciplina di partito, si prepara la rivincita in vista del voto (la prossima estate) sull’Italicum «non più sottoposto ai veti di Berlusconi». Mentre in Forza Italia gli orfani del patto del Nazareno non si danno per vinti.

Eppure Matteo Renzi può cantare vittoria perché il Pd, alla fine, ha retto con una manciata di assenti (tra i quali Fassina, Civati, Boccia, Pastorino) e pochissimi astenuti: «C’è ancora molto da fare ma con questo voto favorevole alla riforma abbiamo un Paese più semplice, più giusto», ha detto il premier.

E anche Silvio Berlusconi, che ha convinto a uno a uno i 17 verdiniani dissenzien­ti, può dirsi soddisfatt­o: «Smentite le Cassandre, FI compatta nel dire no alla riforma costituzio­nale proposto dal governo Renzi». In ogni caso, ha aggiunto l’ex Cavaliere rivolto a Denis Verdini, «mi auguro che tutti lavorino per portare avanti la nuova era che si apre oggi, rinunciand­o a qualche protagonis­mo di troppo e a qualche distinguo dal sapore strumental­e».

In questo secondo passaggio parlamenta­re della riforma Renzi-Boschi — approvata lo scorso 8 agosto al Senato e dopo le regionali, se non addirittur­a a giugno-luglio, di nuovo all’esame di Palazzo Madama — il confronto muscolare tra Pd e Fi ha costretto Renzi a schierare in Aula in fase di dichiarazi­one di voto addirittur­a il vicesegret­ario del partito Lorenzo Guerini. Ed è la prima volta che succede: «Non riusciamo proprio a comprender­e le motivazion­i di chi non vota questa riforma dopo aver contribuit­o a farla crescere», ha detto Guerini che ha avuto l’ultima parola tra i big dei partiti. Per cui la replica è arrivata direttamen­te da Berlusconi che ha fatto scrivere nella sua nota: «Abbiamo rispettato i patti fino in fondo, altri non possono dire lo stesso. Siamo fieri del nostro lavoro ma non dobbiamo avere paure o nostalgia per una strada (il patto del Nazareno, ndr) ormai impercorri­bile».

Senza l’appoggio di FI, la minoranza del Pd diventa indispensa­bile per le riforme. E questo giustifica la cautela del ministro Maria Elena Boschi: «All’interno del Pd non mancano momenti di confronto... anche se è importante non interrompe­re il percorso delle riforme». Però sulla legge elettorale (che rimane in sonno in I commission­e alla Camera) ora non tiene più l’escamotage usato mille volte dal ministro («Non ci sono le condizioni politiche per cambiare il testo perché FI non vuole...») per placare la minoranza dem. «Il voto favorevole sul ddl costituzio­nale è stato, da parte di chi ha ottenuto modifiche significat­ive, una scelta di coerenza», ha detto il deputato Giuseppe Lauricella. È sottinteso che sull’Italicum la minoranza Dem presenterà un conto più salato al governo orfano del Nazareno.

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L’attesa Il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi e la collega della Pubblica Amministra­zio ne Marianna Madia consultano gli smartphone dai banchi del governo in attesa del voto della Camera (Inside)
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(Ansa) Il voto Il tabellone della Camera segna il via libera

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