Corriere della Sera

Lettera a Teheran Lo sgambetto dei repubblica­ni al presidente

- Di Massimo Gaggi

Indegno, mai visto niente di simile nei 36 anni che ho passato al Senato: le parole durissime del vicepresid­ente Joe Biden riflettono l’umore furibondo della Casa Bianca per la lettera aperta che 47 senatori repubblica­ni hanno inviato al regime di Teheran con l’obiettivo esplicito di far fallire i negoziati Usa-Iran sul nucleare. Per loro Obama non può siglare accordi non concordati con le Camere. Falso, replica Biden: quando Nixon riconobbe la Cina e poi per la fine della guerra in Vietnam e il rilascio degli ostaggi detenuti in Iran, l’America ha preso impegni senza un voto del Congresso. Ma è di inaudita violenza anche la replica da destra: i veti incrociati che bloccano da anni la politica interna Usa rischiano ora di paralizzar­e anche le iniziative internazio­nali di Washington.

Sono anni che i repubblica­ni costringon­o la Casa Bianca a combattere una guerra di trincea su tutte le questioni interne, a cominciare dalla riforma sanitaria che la destra ha cercato di bloccare in ogni modo anche dopo la sua attuazione: interventi del Congresso, dei governator­i dei singoli Stati e anche dei magistrati conservato­ri.

Sulla politica estera, però, Barack Obama ha sempre goduto di maggiore autonomia sia perché quella della sicurezza nazionale è una responsabi­lità ampiamente affidata, nel sistema costituzio­nale Usa, alla presidenza, sia perché almeno a livello internazio­nale la superpoten­za ha cercato, almeno fino a due anni fa, di mostrarsi compatta.

Le cose sono cambiate col ritiro Usa da Iraq e Afghanista­n, le incertezze di Barack Obama nella crisi siriana, l’emergere della minaccia dello Stato islamico e, soprattutt­o, col negoziato con l’Iran sul nucleare che, secondo i conservato­ri, rischia di consentire a Teheran di dotarsi, tra qualche anno, di armi atomiche: una trattativa condivisa dalle capitali occidental­i, dalla Russia e dalla Cina, ma avversata, oltre che dai Paesi arabi sunniti, dal governo israeliano di Benjamin Netanyahu che parla di minaccia mortale.

Una lettera davvero illegittim­a e senza precedenti, quella dei 47 senatori? In realtà, come detto, i repubblica­ni da tempo hanno messo in piedi una sorta di diplomazia parallela a quella della Casa Bianca: basti pensare ai tanti viaggi di John McCain in Medio Oriente per cercare di aiutare i ribelli siriani anti-Assad che la Casa Bianca, pur ostile al dittatore di Damasco, non ha mai voluto armare.

Ma gli atti clamorosi delle ultime settimane — prima l’invito a Netanyahu a parlare davanti al Congresso all’insaputa del presidente degli Stati Uniti, poi la lettera mirante a far fallire un negoziato internazio­nale — rappresent­ano di certo un salto di qualità inquietant­e.

Senza precedenti? Su questo i pareri possono divergere. I repubblica­ni, ad esempio, ricordano che nel 2006, riconquist­ata la Camera, la speaker democratic­a Nancy Pelosi promise di costringer­e il presidente Bush a ritirare le truppe dall’Iraq. L’anno dopo Pelosi — sarcastica­mente chiamata dai conservato­ri «general Pelosi» — andò, contro la volontà della Casa Bianca, a Damasco a negoziare con Assad (che allora i democratic­i volevano coinvolger­e in una soluzione per l’Iraq, mentre Bush lo voleva isolare).

Ci sono anche altri precedenti, dal conflitto del Kosovo (il Congresso vietò a Bill Clinton di mettere truppe in campo) al blocco degli aiuti di Reagan ai Contras in Nicaragua ( un voto parlamenta­re del 1987, aggirato dal governo di allora con atti che portarono allo scandalo Iran-Contra).

La differenza, stavolta, è che la lettera, più che a incidere su un negoziato specifico, sembra destinata, col suo linguaggio che trasuda disprezzo nei confronti del presidente, a minare il ruolo della Casa Bianca in una fase diplomatic­a delicatiss­ima.

Un precedente assai grave per la credibilit­à negoziale degli Usa, già messa in dubbio in altre trattative recenti come quelle per gli accordi di libero scambio.

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