Gli affitti raddoppiati all’immobiliarista
Lo svela una perizia del Demanio. E ora il prezzo scende
La Camera ha speso mezzo miliardo di affitti per i palazzi Marini che ospitavano gli uffici dei deputati. Secondo una perizia del Demanio, è il doppio dei prezzi di mercato.
Ricordate i famosi palazzi Marini che ospitavano gli uffici dei deputati e per i quali la Camera ha speso mezzo miliardo di affitti pagati alla società Milano ’ 90 dell’immobiliarista Sergio Scarpellini?
Adesso c’è una lettera firmata Roberto Reggi, direttore dell’Agenzia del Demanio, che su quella vicenda apre un nuovo scenario. C’è scritto che per uno di quei quattro immobili, classificato convenzionalmente come Marini 3, il canone giusto è di 2 milioni 720 mila euro: 313 euro annui al metro quadrato, che dovrebbero scendere addirittura a 266 con la riduzione prevista dalla legge. Meno della metà, ossia, rispetto ai 647 euro pagati finora. Ma anche dei 618 euro proposti da Milano ’90 giusto qualche giorno fa, nel tentativo di salvare almeno una parte di quella clamorosa rendita apparentemente franata con la decisione della Camera di rescindere i contratti. È raccontato in quella lettera ufficiale di cui sopra, sia pure con l’imperdonabile inciampo in un errore d’ortografia da seconda elementare: «per l’utilizzo di Palazzo Marini 3 la società proprietaria richiesto una somma di euro 5.376.925,12».
Più di quella «a» senz’acca, che certo qualche interrogativo lo meriterebbe, il contrasto fra le cifre fa sorgere inevitabilmente una serie di domande.
Per tutto questo tempo, considerando che i contratti risalgono alla fine degli anni Novanta, quanti denari in più abbiamo sborsato rispetto a ciò che avremmo dovuto pagare? La perizia del Demanio spiega che «il valore locativo annuo individuato all’attualità risente evidentemente del trend negativo attraversato dal comparto immobiliare». E ci sta. Ma ci sta pure un’altra considerazione: la crisi va avanti ormai da molti anni, durante i quali il vecchio affitto dei palazzi Marini, che non pochi hanno sempre giudicato esorbitante, continuava a correre. Ma poi: come vennero fissati i canoni originari? Esistono forse precedenti pareri di congruità? Dopo la lettera del Demanio, sarebbe opportuno renderli pubblici. O no?
Anche perché salta fuori adesso che le strade della Camera e di Scarpellini non sono ancora destinate a dividersi. L’arma letale dell’immobiliarista sono i 400 dipendenti di Milano ’90 che in base ai contratti di fornitura di servizi prestavano servizio in quei Palazzi. Con la rescissione degli affitti finirebbero in mezzo a una strada: inutile dire che la colpa è già stata mediaticamente appioppata agli onorevoli indifferenti verso chi perde il posto. Da qui l’improvvisa virata. Se non proprio a 180, almeno a 90 gradi: si rinuncerà a due soli palazzi anziché a tutti e quattro, com’era stato già deciso.
Una svolta per certi versi clamorosa, capace di far tirare un respiro di sollievo non soltanto ai lavoratori e al proprietario degli immobili, ma pure a molti deputati che rischiavano di restare senza ufficio. Che tuttavia fa a pugni con tante dichiarazioni incendiarie ascoltate in questi mesi, secondo cui la pagina dei palazzi Marini si doveva considerare definitivamente chiusa. Una svolta, peraltro, accettata anche dalla forza politica che si era impegnata con più determinazione per la soluzione radicale. Sia pure, hanno spiegato i tre rappresentanti del Movimento 5 Stelle nell’ufficio di presidenza Luigi Di Maio, Claudia Mannino e Riccardo Fraccaro in poche righe inviate alla presidente della Camera Laura Boldrini, «con il fine precipuo di salvaguardare i posti di lavoro» e alla condizione che « l’eventuale accordo dovrà contenere la rinuncia al contenzioso della Milano ’90».
Il percorso tuttavia è ancora in salita. Non soltanto per il prezzo. Alla stima del Demanio Scarpellini ha replicato ieri offrendo i palazzi Marini 3 e 4 per un canone totale di 8 milioni l’anno più Iva. Ovvero, quasi 400 euro al metro quadrato: ritenendo che la Camera debba pagare anche la sua rinuncia alle carte bollate. E per una durata contrattuale di sei anni più altri sei. La proposta è finita per ora in frigorifero. Si è scoperto che Milano ‘90 ha un debito di 615 mila euro con l’Inps e l’Inail per i contributi previdenziali non versati di quei lavoratori.