Caso Ruby, assoluzione confermata La Cassazione ha deciso il destino giudiziario di Berlusconi dopo nove ore di camera di consiglio La Procura generale aveva chiesto la condanna. La replica dei difensori: sentenza inattaccabile
Assoluzione confermata, storia finita. Silvio Berlusconi non ha commesso i reati di concussione e prostituzione minorile nella storia di Ruby, la diciassette marocchina ospite delle serate di Arcore. Storia finita con un verdetto contrastato, sul quale quasi certamente i cinque giudici della sesta sezione penale della corte di cassazione si sono divisi durante cinque ore di camera di consiglio. Il sostituto procuratore generale aveva sollecitato la decisione contraria: annullare l’assoluzione, ripristinare la condanna inflitta in primo grado e rispedire a una nuova corte d’appello per rideterminare la quantità della pena.
Per l’accusa era certo che la telefonata dell’allora presidente del Consiglio al capo di gabinetto della Questura di Milano Piero Ostuni costrinse quest’ultimo a consegnare Karima «Ruby» El Mahroug alla consigliera regionale Nicole Minetti. «C’è stato abuso costrittivo», ha sostenuto il pubblico ministero, che ha provocato «una serie di corruzioni a catena», dal capo di gabinetto in giù. Perché l’ordine ricevuto da Berlusconi di lasciar andare la ragazza («subito restituita al mestiere Le decisioni della Corte di cassazione sono affidate a un collegio giudicante composto da cinque membri, compreso il presidente. Sono sette le sezioni penali della Suprema corte. È costituita poi, presso la Cassazione, una procura generale (con un pg e i vari sostituti). In caso di particolare rilevanza o di contrasto tra le singole sezioni, le decisioni sono affidate alle sezioni unite (9 membri, incluso il primo presidente o un delegato). più antico del mondo») ha condizionato il buon funzionamento della pubblica amministrazione. Attraverso funzionari che hanno preso decisioni non libere e fuori da ogni procedura, costretti da una telefonata «alla quale il capo di gabinetto non ha potuto rispondere “presidente, è mezzanotte, ne parliamo domani”, perché non aveva alcuna possibilità di resistere».
La ricostruzione dell’accusa è quasi spietata nell’indicare «una violenza grave, perdurante e irresistibile» esercitata dal premier attraverso il «meccanismo infernale» di implicite minacce che hanno paralizzato la volontà dei funzionari. Con una «potenza di fuoco tale da annullare ogni capacità di scelta alternativa». In definitiva «l’abuso della qualità da parte dell’interlocutore (cioè Berlusconi, ndr) ha compromesso in modo irreversibile l’esercizio delle funzioni» di Ostuni e dei suoi sottoposti.
Ma tutto questo, hanno ribattuto gli avvocati, non conta più niente. Sono argomenti già affrontati e superati dalla sentenza d’appello che ha negato questa impostazione e assolto l’imputato. «Sentenza inattaccabile sul piano del diritto — ha spiegato l’avvocato Filippo Dinacci, difensore dell’ex premier insieme a Franco Coppi — al punto che la Procura generale ha tentato di smontarla sul piano del merito, perché evidentemente non aveva altra strada. Ma questo non si può fare, la discussione sul fatto è chiusa. Perciò il ricorso è inammissibile, prima ancora che infondato».
Ma la lettura dei fatti pare inevitabile quando si parla di sentenza erroneamente motivata, visto che lo sbaglio sarebbe nel sezionare i fatti tra loro anziché leggerli in modo coerente, uno legato all’altro. E’ quello che riteneva di aver fatto il pm; è ciò che avevano già fatto i giudici d’appello, ha sostenuto la difesa. Così come la Cassazione. «Ha vinto il diritto» commenta l’avvocato Dinacci.
Le ragioni del ricorso Per i pm non serviva neanche rifare l’appello ma bastava rivalutare gli anni della condanna La controffensiva I legali dell’imputato: volevano smontare il giudizio nel merito perché non c’era altra via