Gli indizi e il (falso) mito della pistola fumante L’udienza fiume segnala che un processo è cosa diversa dalle aspettative politico-sociali
E’ mezzanotte quando può finalmente esultare. L’incubo è finito. Il processo che ancora più di quello Mediaset gli aveva sconvolto la vita, deturpato l’immagine, lo aveva trasformato nel leader acclamato a uomo col quale i colleghi di mezzo mondo preferivano non farsi vedere seduti accanto, è finito.
Ci sono volute dieci ore per farlo sentire finalmente, definitivamente, libero da un peso enorme. E a rendere meno snervante l’attesa, per una volta, sono state le odiate «beghe politiche» dei suoi, a Roma. Da Arcore, dove ha preferito rimanere nonostante il suo partito rischiasse un terremoto parlamentare, Silvio Berlusconi ha passato la giornata al telefono con ribelli, fedelissimi, consiglieri, portavoce, capigruppo. Ha lavorato per tenere unita una Forza Italia sempre più divisa, ha voluto mettere nero su bianco che è colpa dei giornalisti se il quadro della situazione interna è stato dipinto a tinte scure e non brillanti come, sostiene, sarebbero.
Per una volta, gli ha fatto bene arrabbiarsi e scaldarsi. E non solo perché, alla fine, ricorrendo alla mozione degli affetti non ha visto spaccarsi Forza Italia nel voto sulle riforme. Gli ha fatto bene perché le ore, quando c’è da attendere l’ennesimo verdetto, quello che spazza via per sempre il processo che più gli ha fatto male, quello che lo avrebbe potuto far ripiombare nell’incubo di ricominciare tutto daccapo, sono lentissime da passare.
Da settimane il primo pensiero di Berlusconi era stato per la decisione della Cassazione, con tutte le conseguenze che sarebbero potute derivarne per la sua libertà personale, sulla vita delle sue aziende, sul suo partito. Il suo distacco dalla pdl capeggiati dall’ex ministro della Giustizia (oggi dell’Interno). «Quelli che» nel febbraio 2011 c’era da far votare solennemente in Parlamento a 315 deputati che al presidente del Consiglio poteva legittimamente risultare che Ruby fosse la nipote di Mubarak. «Quelli che» nel maggio 2013 c’era da invocare a gran voce il trasferimento del processo a Brescia per «legittimo sospetto» sulla non imparzialità dei giudici milanesi, pretesa ridicolizzata dalla Cassazione. «Quelli che» adesso i pm dovrebbero ripagare i milioni di euro delle intercettazioni, in realtà costate 26.000 euro, quando l’intera inchiesta ne è costata 65.000 (compresi noleggi e interpreti). Ma anche «quelli che», tra le fila di molti magistrati milanesi dopo l’assoluzione in Appello, nell’estate 2014 su alcuni giornali si erano riparati dietro l’anonimato di virgolette non smentite per accusare la giudice della sgradita sentenza di aver assaggiato il frutto avvelenato di uno scambio politico in salsa renziana/berlusconiana.
Da questo punto di vista l’udienza-fiume in Cassazione suona la campana per chi da un processo pretenderebbe la risposta più conforme alle aspettative politico-sociali, o più adesiva al livello di gradimento ritenuto socialmente accettabile per le decisioni giudiziarie di una certa stagione. Ma suona anche per chi a lungo ha voluto contrabbandare per processo al peccato, per scrutinio di scelte sessuali, e per volontà di degradazione morale degli imputati quello che invece era il fisiologico meccanismo del dibattimento:
A Milano
Il Tribunale di Milano in questi anni è stato teatro di manifestazioni, quando si trattava dei processi di Berlusconi, sia di sostegno sia contro. A fianco ( Berlusconi saluta i sostenitori: è il 28 marzo 2011, processo Mediatrade. Tornerà l’anno successivo, il 19 ottobre, per il Ruby, per rendere dichiarazioni spontanee: «Diffamazione mostruosa nei miei confronti»
L’auspicio Ma la speranza è che ora anche il Ruby ter e il processo di Bari avranno meno peso
procedura alla quale ora Berlusconi deve la sua assoluzione per motivi giuridici pur a fronte di fatti storici accertati dai tre gradi di giudizio (l’«abuso della propria qualifica per scopi personali» nella telefonata in Questura), e ieri ammessi persino dai difensori («Nemmeno noi contestiamo che ad Arcore avvenissero fatti di prostituzione con compensi»; e se l’affido di Ruby in Questura «fu regolare, che poi i poliziotti fossero contenti di aver fatto un favore a Berlusconi, questo ve lo concediamo»). Proprio l’indugiare sugli indici di inconsapevolezza o meno della minore età di Ruby, sulle connotazioni sessuali delle serate o sulle sfumature giuridiche della telefonata notturna del premier alla Questura, non era dunque fissazione di pm e giudici «guardoni», ma accertamento istruttorio inevitabile, fondamentale proprio come discutere di balistica in un processo per omicidio. Dove, spesso, neppure la pistola è mai davvero fumante.
lferrarella@corriere.it
La norma Tutti i giorni pesanti condanne o clamorose assoluzioni si basano su elementi indiziari Le polemiche Si capisce ora come fossero necessari tutti gli approfondimenti giuridici