Esce domani il manifesto di Piero Bassetti (Marsilio) Dal cinema di Scorsese a Slow Food Gli italici nel mondo sono 250 milioni
e il Risorgimento ci ha proposto come “casa” l’idea di Stato-Nazione, con confini e sovranità precisi, oggi è giunto il tempo, cercando il futuro nel nostro passato, di riscoprire quella liquidità politica che, da sempre, è caratteristica della gens italica».
Uno legge, chiude il libro, guarda il cielo di marzo e pensa: fa piacere incontrare un ottimista. Perché a questa schiera appartiene Piero Bassetti, classe 1928. Alla sua età ha conosciuto abbastanza gente, visto abbastanza mondo e incrociato abbastanza stranezze da potersi concedere il lusso accidioso del cinismo. Niente da fare. Lui ci crede. È convinto che l’Italia possa diventare migliore, perché ha una storia, una cultura e un carattere adatti ai tempi nuovi. Svegliamoci italici! (Marsilio, pp. 125. 10) non è un manifesto della nazione che verrà, come suggerisce il sottotitolo; è un aquilone per la nazione che potrebbe essere. Qualcosa da ammirare, alzando lo sguardo.
Gli italiani vivono in Italia; gli italici, secondo l’autore, potrebbero adottare queste parole di Dante nel De vulgari eloquentia: «Noi cui è patria il mondo, come i pesci il mare». La nuova comunità, scrive Bassetti, «non disporrà di linee o confini netti e riducibili a documenti formali, come il passaporto o il permesso di soggiorno». Gli italici sono uniti da interessi, valori ed esperienze: devono solo rendersi conto delle proprie potenzialità.
D’accordo, direte. Ma quanti siamo? Bassetti, rivelando i suoi trascorsi amministrativi, tenta un censimento: sessanta milioni di residenti in Italia, settanta milioni di oriundi, ticinesi, sanmarinesi e dalmati, «tutti coloro che si considerano a pieno titolo italici per pura appartenenza culturale». Totale: circa 250 milioni di persone. Un dato impreciso, ammette l’autore, «ma d’altro canto la caratteristica fondante dell’ibridazione è quella di avere contorni sfumati».
Qualcosa del genere, com’è noto, hanno realizzato anglosassoni e ispanici, con il Commonwealth (più commerciale) e la Hispanidad (più culturale). Gli italici, scrive Bassetti, possono fare lo stesso, o addirittura meglio. Possiedono infatti un carattere versatile e la capacità di aggregare naturalmente, senza costrizioni. Dispongono anche dei prodotti giusti, «diventati rapidamente un componente dello stile di vita e della quotidianità di altri popoli». E la lingua? L’autore non ha dubbi: «Il nuovo concetto di comunità che trascende le frontiere deve trascenderle anche linguisticamente». In altre parole: l’italico è plurilingue, non deve parlare unicamente italiano. D’altro canto, chiosa l’autore, «la nostra è una lingua che si sceglie, non s’impone».
Italici, secondo Bassetti, sono i registi Martin Scorsese e Quentin Tarantino, gli scrittori John Fante e Don DeLillo, dirigenti d’azienda come Sergio Marchionne (Fca) e Diego Piacentini ( Amazon). Italico è Slow Food. Italiche sono le 25 mila imprese che fanno riferimento alle 80 camere di commercio italiane all’estero (imprese italiane, locali, miste). «Made by Italics» dovrebbe sostituire In alto, Piero Bassetti (1928). Sopra, copertina. A sinistra, Charles Moore, Made in Italy, che ha fatto il suo tempo.
È chiaro che ci crede, l’autore. E sembrano crederci molti degli italici in questione, sparsi nel mondo. Non è chiaro se ci credono, al di là dei discorsi e dei proclami, i nostri rappresentanti politici. Se l’Italia è difficile da governare, infatti, l’italicità è impossibile. È libera per definizione. Non basta introdurre la legge sulla cittadinanza più generosa del pianeta e concedere il diritto di voto anche a chi, dell’Italia, nulla sa e nulla importa. Diciamolo: molti dei nuovi italiani di passaporto non sono italici, né vogliono esserlo.
Italici sono invece i nostri ragazzi nel mondo, ci ricorda l’autore. «Italians» li chiamiamo al «Corriere». Vorremmo che si sentissero liberi di tornare; ma sappiamo, come l’autore, «che il non ritorno non è una perdita irreparabile». È un’occasione, invece. «La nuova mobilità rappresenta un ringiovanimento culturale e caratteriale di società ricche ma stanche, sviluppate ma infelici, potenti ma fragili», scrive Piero Bassetti, vecchio giovane.
Interessante. Lo diremo a Matteo Salvini, giovane vecchio.