Conferenza internazionale per non perdere la Libia
Una missione di pace appare difficile. E le alternative sono poche
Èrisaputo che la buona diplomazia richiede discrezione, ma capita talvolta, come sta accadendo nel caso della Libia, che l’approccio discreto diventi un approccio confuso. A tutto beneficio di chi nell’ambiguità ha imparato a rafforzarsi, come l’Isis, e con danno per chi dalla Libia riceve minacce concrete alla sua sicurezza e stabilità, come l’Italia. Fare chiarezza non è facile, specialmente se si prendono in esame i tentativi di dialogo con il frastagliato fronte libico. L’obiettivo dichiarato dalla Comunità internazionale è la nascita di un governo libico di unità nazionale che metta d’accordo i due governi e i due parlamenti oggi esistenti.
delle milizie, delle tribù, dei clan e delle ambizioni inconfessabili come la spartizione del Paese?
Le probabilità di successo sono talmente sottili che diventa imperativo esaminare per tempo, cioè subito, le alternative esistenti. E qui andiamo di male in peggio. Salvo circostanze davvero eccezionali, oppure un intervento molto massiccio che nessuno vuole almeno fino a quando non sarà chiaro l’impegno degli Usa, l’opzione del peace keeping (per non parlare del peace enforcing, l’imposizione della pace con la forza) diventa man mano più fragile. Ci si rende conto dei rischi altissimi che comporterebbe, si teme con ragione che le fazioni libiche si uniscano contro lo straniero, si paventa di fare un grosso favore all’Isis che potrebbe attirare i più nazionalisti ed emergere dagli scontri come forza dominante. Allora si parla — e lo ha fatto Bernardino León in una intervista al Corriere