«L’assoluzione? Va presa con rispetto La sua storia non si riduce ai processi»
Il pm Sangermano: da parte nostra nessuna aggressione, rifarei tutto
Quando era sostituto a Milano, Antonio Sangermano (ora procuratore capo reggente a Prato) ha condotto l’inchiesta Ruby con gli aggiunti Ilda Boccassini e Piero Forno. Un’assoluzione che brucia? «Le sentenze si rispettano sempre, non secondo le convenienze. Totale rispetto va ai giudici di primo grado che hanno condannato Berlusconi così come a tutti quelli che lo hanno assolto in procedimenti ineccepibili. Era presunto non colpevole prima della assoluzione definitiva ed è un innocente oggi. È la legge».
C’è chi grida allo scandalo e chi dice che il processo non doveva nemmeno iniziare.
«L’inchiesta nasce dalle relazioni di servizio di due poliziotti che evidenziavano anomalie nella gestione di una minorenne sospettata di avere commesso un furto, e da segnalazioni del Tribunale per i minori. La Procura si è attivata dopo una notizia di reato e le indagini hanno fatto ritenere che Ruby si prostituisse, che il suo trattamento in questura la notte del 27 maggio 2010 fosse stato pesantemente condizionato dal rapporto con Berlusconi e che alcune persone, poi imputate, favorissero sistematicamente la prostituzione di un gruppo di ragazze maggiorenni. Legalità e obbligatorietà dell’azione penale sono principi fondamentali dello Stato di diritto».
Con Forno avete interrogato Ruby, le impressioni?
«Una ragazzina intelligente, furba e sofferente, ma sempre una ragazzina».
Da anni negli ambienti berlusconiani si parla di persecuzione. Ora è pacificazione?
« Non c’è stata alcuna aggressione e i magistrati non si devono preoccupare delle conseguenze politiche del loro lavoro, l’essenziale è che non agiscano con finalità politiche, e così non è stato. Le sentenze divergenti dimostrano quanto fosse complessa la questione. Un’assoluzione va presa con rispetto e coscienza, ma ciò non rende automaticamente superfluo l’intero processo, anche se mi rendo conto che questo è un concetto difficile da metabolizzare per il cittadino e tanto più per l’imputato. Non mi piace poi il concetto di pacificazione, perché presuppone che prima ci sia stato uno scontro tra fazioni. Diverso è il ragionamento sulla ricerca di soluzioni equilibrate e condivise, che compete alla politica di individuare, che tengano presente l’oggettiva valenza di una storia e di un percorso. Il rispetto per le persone non deve mai venire meno, siano magistrati o imputati, e la storia di Silvio Berlusconi non è comunque riducibile solo ai processi. Il dibattimento Ruby è stato esemplare nella conduzione del Tribunale. È davvero inaccettabile la prospettiva di quanti considerano, con una concezione utilitaristica della giustizia, il giudice imparziale solo quando assolve, prevenuto e accanito quando condanna».
Era in udienza quando i parlamentari del Pdl arrivarono a Palazzo di giustizia. Cosa ricorda?
«La forte contrapposizione tra quell’atto e l’atteggiamento dialogante degli avvocati di Berlusconi. Di fatto quella manifestazione di solidarietà politica, per quanto dai metodi non condivisibili e con la partecipazione di parlamentari ed ex ministri della Giustizia, non condizionò niente e nessuno».
Confronto forte con gli avvocato che più volte hanno ricusato i giudici.
«E la storia li ha smentiti. Io non condivido le impostazioni pregiudiziali e ideologiche, da chiunque arrivino. Con gli avvocati Ghedini e Longo, persone gentili e tecnicamente avvezze, non c’è stata mai personalizzazione della vicenda. Non considero il difensore, e tanto meno l’imputato, un nemico». Mai tensioni tra voi pm? «Solo una dialettica fisiolo- gica e corretta, ma nessuno scontro nella gestione del processo. Ognuno poi si assume la responsabilità degli atti che sottoscrive. Solo questo conta. Trovo davvero ingiusti gli attacchi che riceve Ilda Boccassini. L’azione penale è prerogativa dell’intero ufficio, non di un singolo magistrato».
Con la legge sulla responsabilità civile dei magistrati, ora rifarebbe i processi Ruby?
« Non c’è da temere nell’adempiere ai propri doveri. Rifarei tutto, ma trovo profondamente sbagliata quella legge e condivido l’atteggiamento fermo dell’Anm, anche se nell’operato del governo sulla giustizia vedo un impegno apprezzabile. A volte sembra che in questo Paese il problema non sia la criminalità, ma i pubblici ministeri. È una distorsione intollerabile che alimenta un clima di sfiducia verso la giustizia. L’autonomia e l’indipendenza della magistratura sono una garanzia per tutti».
Politica I magistrati non si devono preoccupare delle conseguenze politiche del loro lavoro