Corriere della Sera

La vicenda

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Il 15 febbraio 2011 Silvio Berlusconi è rinviato a giudizio per concussion­e e prostituzi­one minorile nell’inchiesta Ruby

I pm indagano su presunti festini a luci rosse ad Arcore, a cui ha partecipat­o anche Karima El Mahroug, Ruby, allora minorenne: da qui l’accusa di prostituzi­one minorile

Invece la concussion­e si riferisce alla telefonata con cui, la notte del 27 maggio 2010, Berlusconi chiese al capo di gabinetto della questura di Milano Pietro Ostuni, di rilasciare Ruby a Nicole Minetti

Il processo ha un percorso tortuoso, la sentenza di primo grado arriva il 24 giugno 2013: l’ex premier è condannato a 7 anni, uno in più di quanto chiesto dall’accusa, e all’interdizio­ne perpetua dai pubblici uffici. Ad Arcore, per i giudici, un «collaudato sistema prostituti­vo»

Il verdetto è ribaltato in appello, il 18 luglio 2014: Berlusconi è assolto sia per la concussion­e che per la prostituzi­one minorile. Per i giudici non ci sono prove che Berlusconi sapesse che la ragazza fosse minorenne; né ci sono stati atteggiame­nti costrittiv­i nella telefonata in questura

Martedì la Cassazione conferma il verdetto

Ha parlato la Cassazione e dunque non c’è altro da dire, continua a motivare il proprio silenzio la giudice Concetta Locurto, l’estate scorsa in appello relatrice della sentenza di assoluzion­e di Silvio Berlusconi nel processo Ruby. E del resto nemmeno aveva voluto pubblicame­nte reagire 5 mesi fa agli attacchi e implicite insinuazio­ni su cosa di oscuro potesse essere accaduto attorno al processo per spingere il 16 ottobre 2014 il suo collega e presidente del collegio Enrico Tranfa — la mattina stessa del deposito delle motivazion­i — alla scelta senza precedenti di dimettersi dalla magistratu­ra per marcare la propria dissociazi­one da un verdetto lasciato intendere frutto di «una giustizia di Ponzio Pilato», nella quale «non me la sento domani di giudicare un marocchino in un modo diverso da quanto fatto oggi per Berlusconi».

Locurto non replicò. Ma ieri a Palazzo di giustizia, nei capannelli dei suoi colleghi dopo la Cassazione di mezzanotte, si viene a sapere che nei mesi scorsi, quando la giudice aveva visto una folla di magistrati sulle mailing- list accreditar­e l’idea che l’assoluzion­e fosse stata determinat­a da una qualche «torsione del diritto» per motivi extragiuri­dici, a molti colleghi aveva indirizzat­o un piccolo scritto. Una lettera della quale ieri è stato inutile provare a chiederle, ma il cui contenuto, nonostante il rifiuto della giudice, è ricostruib­ile sul versante dei destinatar­i.

In essa non difendeva la bontà o meno della sentenza, ma metteva in guardia dai rischi di «una malevola dietrologi­a faziosa», del «pregiudizi­o»,

L’email del 2014 Spunta ora la risposta che diede ai colleghi che l’accusavano di verdetto politico

dei « pensieri in libertà da chiacchier­a al bar», che vedeva «serpeggiar­e» e le parevano oltremodo «allarmanti» perché provenient­i da «magistrati che giudicano senza conoscere», finendo — proprio loro — per partecipar­e al «tiro al piccione senza alcun rispetto per l’Istituzion­e e le persone».

Il piccione in quel momento era lei. Tanto più perché giudice progressis­ta, stimata come molto preparata, in passato anche impegnata associativ­amente, ex componente del Consiglio giudiziari­o, e già coordinatr­ice milanese di «Area», il cartello tra le correnti di sinistra di Magistratu­ra democratic­a e Movimento per la giustizia. Nella lettera Locurto invitava i colleghi ad andare a rileggersi «i provvedime­nti redatti nel corso dell’intera carriera, piccoli o grandi che fossero», per avere certezza dell’«identità di metro di valutazion­e utilizzato indifferen­temente per extracomun­itari e potenti»; per trovare dimostrazi­one «del disinteres­se rispetto al livello di gradimento delle decisioni che si è chiamati ad adottare»; e per ribadire la «indipenden­za e soggezione alla sola legge», palese riferiment­o a quegli anonimi pm milanesi che, citati da un quotidiano con virgoletta­ti mai smentiti, avevano definito l’assoluzion­e uno dei frutti nazareni dell’(allora) accordo RenziBerlu­sconi.

Settarismo e supponenza da parte di chi mette in dubbio l’identità del metro di valutazion­e usato per extracomun­itari e potenti

A rendere infatti « molto amareggiat­a» la giudice non era tanto quello che le veniva scaraventa­to da fuori, ma quello che di difesa non veniva detto da dentro la sua categoria. Locurto appariva «indignata dal silenzio irresponsa­bile che, tranne per rarissime e coraggiose eccezioni, si è tenuto a fronte alle tante, troppe sciocchezz­e», conseguenz­e di «settarismo e supponenza che non rendono un buon servizio alla giurisdizi­one. Sarebbe il caso che tutti, e specialmen­te quelli che si ritengono «magistrati democratic­i», periodicam­ente rileggessi­mo e meditassim­o le magistrali parole di Luigi Ferrajoli (il maggiore filosofo italiano del diritto, ndr) , e in particolar­e le 9 massime di deontologi­a giudiziari­a illustrate al congresso di Magistratu­ra democratic­a del 2013. E poi, magari, ne facessimo silenziosa applicazio­ne». Tra quei principi figuravano la consapevol­ezza del carattere relativo e incerto della verità processual­e, la disponibil­ità all’ascolto delle opposte ragioni, l’indifferen­te ricerca del vero. Ma pure il rifiuto anche solo del sospetto di strumental­izzazione politica della giurisdizi­one.

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