I giudici divisi sulla prostituzione minorile
Le nove ore di camera di consiglio: la discussione sulla concussione e il nodo dell’induzione
Hanno discusso a lungo, anche perché di Berlusconi e Ruby non avevano mai parlato prima, tutti e cinque insieme. Si spiegano anche così le quasi dieci ore impiegate dai giudici della sesta sezione penale della Cassazione per mettere l’ultimo timbro sull’assoluzione dell’ex presidente del Consiglio dai reati di concussione e prostituzione minorile. Il sigillo che rende tutto definitivo. Hanno dibattuto fino a mezzanotte, un tempo più lungo del previsto per affrontare i singoli aspetti della complessa questione processuale — almeno tre — e ridurre a un unico giudizio le opinioni divergenti che pure si sono manifestate su qualche punto. Provenienti da magistrati di diversa «estrazione correntizia», a volerli classificare secondo uno schema di appartenenza politico-culturale che il verdetto dell’altra sera dimostra non avere peso al momento delle decisioni.
Questo filtra dalle spesse mura del «palazzaccio» umbertino che ospita gli uffici della Corte suprema. Ma sono «voci di dentro» che vanno prese col beneficio d’inventario, perché il percorso che ha portato alla decisione finale sarà svelato solo dalle motivazioni della sentenza, quando saranno rese note. Nell’attesa, si può dire che il collegio ha esaminato separatamente i due capi d’imputazione: la concussione realizzata — secondo l’accusa — con la telefonata notturna dell’allora presidente del Consiglio al capo di gabinetto della questura di Milano La Corte di cassazione è il vertice della giurisdizione ordinaria (penale e civile) italiana. Si esprime sulla legittimità delle sentenze e assicura l’uniforme interpretazione della legge. Nel 1923 le 5 corti esistenti furono unificate nella Corte suprema di Cassazione per rilasciare Ruby dopo il fermo del 27 maggio 2010, e la prostituzione minorile, cioè il compimento di atti sessuali a pagamento con la diciassettenne marocchina nella consapevolezza della sua età. Inoltre, analizzando il primo reato bisognava valutare se — dopo l’entrata in vigore della legge Severino che nel 2012 ha distinto le due ipotesi — in luogo della concussione per costrizione si potesse contestare l’induzione alla concussione.
Il tribunale aveva condannato Berlusconi con la formula della «costrizione» imposta al capo di gabinetto Ostuni, poi annullata dalla Corte d’appello. E il sostituto procuratore generale aveva chiesto di tornare alla prima condanna: di fronte alla telefonata del premier, Ostuni non aveva altra scelta che obbedire per non subire un danno ingiusto. Ma nelle carte del processo la prova di ciò non pareva evidente, tanto che (prima della riforma Severino), la Procura aveva chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio con la formula dell’induzione alla concussione, i membri del collegio giudicante della Cassazione, incluso il presidente. Ieri i giudici della sesta sezione penale sono entrati in camera di consiglio intorno alle 14.30 e sono usciti poco prima della mezzanotte all’epoca ricompresa nello stesso reato.
È probabile che i giudici della Cassazione si siano trovati d’accordo nel considerare che la costrizione non fosse dimostrata; o meglio, che il ragionamento della Corte d’appello non fosse viziato da una ricostruzione illogica dei fatti. Restava la formula alternativa e subordinata: contestare il nuovo reato di «induzione» che pure si poteva intravedere nella telefonata notturna del premier al funzionario di polizia.
Su questo aspetto un anno fa, il 14 marzo 2014, le sezioni unite della Cassazione hanno emesso una sentenza — scritta dal giudice Nicola Milo, presidente del collegio che ha mandato assolto Berlusconi — con cui ha tracciato confini, netti e labili insieme, per i quali i il nuovo reato è diventato di difficile dimostrazione. Stabilendo che chi subisce la pressione deve trarre un indebito vantaggio dal suo comportamento (perciò è anch’esso punito) e la necessità di indagini persino «di natura psicologica» per valutare il peso della pressione. I giudici di appello hanno stabilito che tutto questo non c’era, e i colleghi della Cassazione hanno riconosciuto la correttezza del ragionamento che ha portato a questa conclusione.
Infine restava la prostituzione minorile. Ossia il fatto che Berlusconi sapesse che Ruby era minorenne quando partecipò alle serate «a luci rosse» di Arcore. È il punto su cui, verosimilmente, si è partiti dal maggiore contrasto di vedute. Secondo alcuni la Corte d’appello fu quanto meno affrettata nel ritenere la consapevolezza del premier «una congettura non riscontrata da dati fattuali di precisa e univoca concludenza». Tuttavia hanno prevalso le repliche di coloro che ritenevano simili valutazioni attinenti al fatto da giudicare, non più al diritto; e in assenza di illogicità evidenti di quella ricostruzione, la Cassazione non poteva che arrendersi e apporre il suo timbro. Ricorso rigettato, assoluzione confermata. La sentenza di luglio I giudici della Corte d’appello di Milano, nella foto a sinistra, leggono la sentenza che assolve Silvio Berlusconi per concussione per costrizione, «perché il fatto non sussiste», e per prostituzione minorile «perché il fatto non costituisce reato». È il 18 luglio 2014 e i giudici sono:
Alberto Puccinelli, 54 anni, già relatore del processo di appello sulla vicenda del «nastro Unipol» (prescrizione per Berlusconi)
Enrico Tranfa, 70, allora presidente del collegio della Corte d’appello di Milano: si è dimesso dalla magistratura, era contrario all’assoluzione
Concetta Locurto, 51 anni, che ha steso le motivazioni della sentenza