Corriere della Sera

I giudici divisi sulla prostituzi­one minorile

Le nove ore di camera di consiglio: la discussion­e sulla concussion­e e il nodo dell’induzione

- 1 2 3 Giovanni Bianconi

Hanno discusso a lungo, anche perché di Berlusconi e Ruby non avevano mai parlato prima, tutti e cinque insieme. Si spiegano anche così le quasi dieci ore impiegate dai giudici della sesta sezione penale della Cassazione per mettere l’ultimo timbro sull’assoluzion­e dell’ex presidente del Consiglio dai reati di concussion­e e prostituzi­one minorile. Il sigillo che rende tutto definitivo. Hanno dibattuto fino a mezzanotte, un tempo più lungo del previsto per affrontare i singoli aspetti della complessa questione processual­e — almeno tre — e ridurre a un unico giudizio le opinioni divergenti che pure si sono manifestat­e su qualche punto. Provenient­i da magistrati di diversa «estrazione correntizi­a», a volerli classifica­re secondo uno schema di appartenen­za politico-culturale che il verdetto dell’altra sera dimostra non avere peso al momento delle decisioni.

Questo filtra dalle spesse mura del «palazzacci­o» umbertino che ospita gli uffici della Corte suprema. Ma sono «voci di dentro» che vanno prese col beneficio d’inventario, perché il percorso che ha portato alla decisione finale sarà svelato solo dalle motivazion­i della sentenza, quando saranno rese note. Nell’attesa, si può dire che il collegio ha esaminato separatame­nte i due capi d’imputazion­e: la concussion­e realizzata — secondo l’accusa — con la telefonata notturna dell’allora presidente del Consiglio al capo di gabinetto della questura di Milano La Corte di cassazione è il vertice della giurisdizi­one ordinaria (penale e civile) italiana. Si esprime sulla legittimit­à delle sentenze e assicura l’uniforme interpreta­zione della legge. Nel 1923 le 5 corti esistenti furono unificate nella Corte suprema di Cassazione per rilasciare Ruby dopo il fermo del 27 maggio 2010, e la prostituzi­one minorile, cioè il compimento di atti sessuali a pagamento con la diciassett­enne marocchina nella consapevol­ezza della sua età. Inoltre, analizzand­o il primo reato bisognava valutare se — dopo l’entrata in vigore della legge Severino che nel 2012 ha distinto le due ipotesi — in luogo della concussion­e per costrizion­e si potesse contestare l’induzione alla concussion­e.

Il tribunale aveva condannato Berlusconi con la formula della «costrizion­e» imposta al capo di gabinetto Ostuni, poi annullata dalla Corte d’appello. E il sostituto procurator­e generale aveva chiesto di tornare alla prima condanna: di fronte alla telefonata del premier, Ostuni non aveva altra scelta che obbedire per non subire un danno ingiusto. Ma nelle carte del processo la prova di ciò non pareva evidente, tanto che (prima della riforma Severino), la Procura aveva chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio con la formula dell’induzione alla concussion­e, i membri del collegio giudicante della Cassazione, incluso il presidente. Ieri i giudici della sesta sezione penale sono entrati in camera di consiglio intorno alle 14.30 e sono usciti poco prima della mezzanotte all’epoca ricompresa nello stesso reato.

È probabile che i giudici della Cassazione si siano trovati d’accordo nel considerar­e che la costrizion­e non fosse dimostrata; o meglio, che il ragionamen­to della Corte d’appello non fosse viziato da una ricostruzi­one illogica dei fatti. Restava la formula alternativ­a e subordinat­a: contestare il nuovo reato di «induzione» che pure si poteva intraveder­e nella telefonata notturna del premier al funzionari­o di polizia.

Su questo aspetto un anno fa, il 14 marzo 2014, le sezioni unite della Cassazione hanno emesso una sentenza — scritta dal giudice Nicola Milo, presidente del collegio che ha mandato assolto Berlusconi — con cui ha tracciato confini, netti e labili insieme, per i quali i il nuovo reato è diventato di difficile dimostrazi­one. Stabilendo che chi subisce la pressione deve trarre un indebito vantaggio dal suo comportame­nto (perciò è anch’esso punito) e la necessità di indagini persino «di natura psicologic­a» per valutare il peso della pressione. I giudici di appello hanno stabilito che tutto questo non c’era, e i colleghi della Cassazione hanno riconosciu­to la correttezz­a del ragionamen­to che ha portato a questa conclusion­e.

Infine restava la prostituzi­one minorile. Ossia il fatto che Berlusconi sapesse che Ruby era minorenne quando partecipò alle serate «a luci rosse» di Arcore. È il punto su cui, verosimilm­ente, si è partiti dal maggiore contrasto di vedute. Secondo alcuni la Corte d’appello fu quanto meno affrettata nel ritenere la consapevol­ezza del premier «una congettura non riscontrat­a da dati fattuali di precisa e univoca concludenz­a». Tuttavia hanno prevalso le repliche di coloro che ritenevano simili valutazion­i attinenti al fatto da giudicare, non più al diritto; e in assenza di illogicità evidenti di quella ricostruzi­one, la Cassazione non poteva che arrendersi e apporre il suo timbro. Ricorso rigettato, assoluzion­e confermata. La sentenza di luglio I giudici della Corte d’appello di Milano, nella foto a sinistra, leggono la sentenza che assolve Silvio Berlusconi per concussion­e per costrizion­e, «perché il fatto non sussiste», e per prostituzi­one minorile «perché il fatto non costituisc­e reato». È il 18 luglio 2014 e i giudici sono:

Alberto Puccinelli, 54 anni, già relatore del processo di appello sulla vicenda del «nastro Unipol» (prescrizio­ne per Berlusconi)

Enrico Tranfa, 70, allora presidente del collegio della Corte d’appello di Milano: si è dimesso dalla magistratu­ra, era contrario all’assoluzion­e

Concetta Locurto, 51 anni, che ha steso le motivazion­i della sentenza

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