Corriere della Sera

I dissidenti dall’ultimatum fragile: «Noi ex pci gli ordini li eseguiamo»

L’ironia dei renziani in Transatlan­tico: chi non vota contro tiene famiglia...

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un mezzo miracolo».

La descrizion­e è piuttosto aderente ai fatti: sì, l’ha proprio azzeccata; se ne rende conto e, di lì a poco, scriverà tutto sul suo blog. ( Ieri mattina). I quotidiani pubblicano, con un certo rilievo, i numeri della votazione: la riforma del Senato è passata con 357 voti a favore, 125 contro (FI, Sel, Lega, FdI) e 7 astenuti. Tra questi, 3 dem: Capodicasa, Vaccaro e Galli. Altri 7 dem non hanno partecipat­o al voto: Boccia, Aiello, Bragantini, Pastorino, Pelillo, Fassina e Civati.

Civati è convinto di avere una pizza pagata da Pier Luigi Bersani. È l’ex segretario ad aver montato su una scommessa, dopo aver ordinato alle sue truppe di accodarsi per l’ennesima volta e seguire i piani del comandante Renzi.

«La riforma del Senato si poteva anche votare, ma votare l’Italicum, così com’è, sarà impossibil­e. Se l’Italicum non cambierà, la disciplina di partito non reggerà più. Con Civati, scettico, sono pronto a giocarmi una pizza».

Poteva almeno giocarsi una bottiglia di Dom Pérignon. Ma va bene: se rischi di pagare, magari ti viene il braccino.

«Messa così, la faccenda è divertente...», dice Davide Zoggia, guardia scelta dei bersaniani alla Camera, ex presidente della provincia di Venezia: un tipo scaltro, veloce, sicuro. La metta come preferisce. «Dire che noi rimandiamo sempre la battaglia finale è un po’ riduttivo. Io suggerisco, in sede di analisi, di tener conto di un paio di aspetti». Il primo? «Non va sottovalut­ato il nostro senso di responsabi­lità...».

Oh, no, anche lei? Questo lo ripete sempre Bersani...

«Sì, ma io le spiego cosa c’è dentro questo concetto. E sa cosa c’è? C’è la nostra storia. Vede, noi veniamo dal Pci e per noi è impensabil­e non seguire gli ordini del partito. Se seguiamo l’istinto, è impensabil­e». Continui. «Sul Jobs act, io fui uno dei 29 che non votò. Bene: mi crede se le dico che la notte prima e la notte dopo non riuscii a chiudere occhio?».

Le credo. Il secondo motivo per cui alla fine rimandate sempre la battaglia finale?

«Siamo vittima, dobbiamo ammetterlo, di un meccanismo perverso. Mi spiego: quello, cioè Renzi, arriva e dice che okay, ragazzi, i vostri emendament­i sono ottimi, ma io purtroppo non posso toccare niente perché ho un accordo con Berlusconi. Poi però l’accordo con Berlusconi salta e gli emendament­i non si toccano lo stesso. Uno pensa: sto’ Renzi ci avrà mica presi in giro?».

Poi Zoggia aggiunge che un problema di questi ribelli democratic­i è anche la loro frammentaz­ione. C’è Bersani con i suoi (tra Senato e Camera ha numeri importanti, sulla carta da farci cadere un governo: con gente che sta pure tutti i giorni sui giornali e in tivù, tipo Miguel Gotor e Alfredo D’Attorre, tipo Roberto Speranza e Maurizio Martina, sempre lì a promettere legnate politiche, barricate, rivolte); poi c’è l’area di Gianni Cuperlo: di solito miti come il loro capo; poi c’è Pippo Civati che rappresent­a molto se stesso (a Montecitor­io, per dire, i civatiani sono come i coccodrill­i albini: dovrebbero esistere, ma avvistarli è sempre complicato); infine c’è tutto un gruppo di dem solitari, tipo Rosy Bindi e Francesco Boccia, tipo Stefano Fassina.

Ecco, Fassina: perché questa minoranza al momento di attaccare, ripiega.

«Guardi... spesso molti di loro, nel merito, sono d’accordo con me: poi, però, mentre io voto no al Jobs act, no alla riforma del Senato... loro, sì, è vero: s’accodano». Perché? «Mah... È chiaro che alcuni di loro si ostinano, piuttosto inutilment­e, a tenere aperta una finestra di colloquio con Renzi...».

E gli altri? Perché non arrivano mai allo scontro? «Eh, beh, gli altri...». Gli altri tengono famiglia, o un mutuo, o entrambe le cose, e uscire dal partito e andare in mare aperto sarebbe un rischio enorme: questo dicono in Transatlan­tico deputati renziani seduti sui divani, rilassati e ironici, certi che anche il loro capo, a Palazzo Chigi, la pensi così.

Pippo Civati: per gran parte della cosiddetta minoranza dem la battaglia da combattere è sempre la prossima

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