Corriere della Sera

Le milizie

- SEGUE DALLA PRIMA fventurini­500@gmail.com

Ciò allo scopo di meglio far fronte alla crescita del terzo incomodo, l’Isis appunto, che tra una carneficin­a e un attacco alle installazi­oni petrolifer­e si dichiara nemico di tutti. Nella direzione del governo unitario si muovono a fatica i colloqui che dovrebbero riprendere tra poco in Marocco, mentre in Algeria, a titolo complement­are, si svolge un esercizio diverso: sono personalit­à elette dei due Parlamenti che vengono messe a confronto, nella speranza che trovino punti d’intesa.

Tutti sforzi lodevoli così come è stato opportuno l’incontro informativ­o di ieri a Roma tra il presidente del Consiglio Matteo Renzi e il mediatore dell’Onu Bernardino León. A condizione però di valutare correttame­nte gli ostacoli che persistono, e di avere un piano per il «dopo» qualunque esso sia. Ed è qui che entriamo, a livello internazio­nale, in una nebbia che va dissipata al più presto se vogliamo salvare la credibilit­à di chi media, quella di chi lo appoggia come l’Italia, e dunque le probabilit­à di successo della sua opera.

Il governo di Tobruk (riconosciu­to dalla Comunità internazio­nale) sta al gioco ma punta soprattutt­o sui raid militari degli amici egiziani (Renzi incontrerà venerdì al Sisi al vertice economico di Sharm el Sheikh) e chiede all’Onu ingenti forniture di armi sin qui negate. Il governo di Tripoli, suo avversario, denuncia la nomina dell’ex generale Khalifa Haftar a capo di un «esercito libico» che è in realtà l’esercito di Tobruk, e per non dispiacere alle sue molteplici componenti islamiste arriva a negare la presenza in Libia dell’Isis accusando invece nostalgici di Gheddafi appoggiati e finanziati dall’estero che vorrebbero destabiliz­zare il Paese.

E’ una partita a scacchi che qualcuno può vincere, questa? E se poi il miracolo avesse luogo, cosa accadrebbe al momento di decidere chi dovrebbe guidare il governo di unità nazionale? Si applichere­bbe forse il modello afghano (un presidente e un premier teoricamen­te sullo stesso piano) che ha già i suoi problemi a Kabul e ne avrebbe di più radicali nella Libia

L’Isis ha il suo quartier generale libico a Derna e infiltrazi­oni fino a Tripoli. E’ presente a Sirte dove gli estremisti di Ansar al Sharia, qaedisti, hanno dichiarato fedeltà al califfato. La sua ossatura a Derna — prima città libica a dichiarare fedeltà — è costituita dagli ex seguaci di Abdelhakim Belhadj, Gruppo dei combattent­i islamici libici anti Gheddafi nella guerra civile

Le milizie di Misurata sono alleate con gli islamisti di Alba della Libia che controllan­o Tripoli, ultimo baluardo della Fratellanz­a in Nord Africa. Hanno l’appoggio diplomatic­o, politico e militare indiretto (armi) della Turchia e il supporto finanziari­o del Qatar

Il governo e il Parlamento nati dopo le elezioni del 2014 hanno sede a Tobruk. Sono le uniche autorità riconosciu­te dalla comunità internazio­nale. Sono sostenute dalle forze armate libiche guidate dal generale Haftar, sostenuto dall’Egitto energetico per bloccare i flussi finanziari che oggi le varie parti libiche si contendono, e poi decidere il blocco navale a guardia dell’embargo (ipotesi questa assai scomoda per l’Italia che importa gas dalla Libia, ma verosimilm­ente efficace).

La gravità della situazione libica suggerisce questi e altri scenari. Ma il fatto certo e immediato è che sul tavolo del suo estremo tentativo di compromess­o diplomatic­o la comunità internazio­nale non è riuscita a porre né una carota né un bastone, essendo vaga la prima (difendersi meglio dall’Isis) e indecifrab­ile il secondo (presenza militare straniera, embargo con sanzioni, blocco navale?). L’Italia ha un interesse non più rinviabile a fare chiarezza. Persino una di quelle conferenze internazio­nali che raramente producono risultati questa volta potrebbe essere opportuna. Perché in Libia il tempo lavora contro di noi. E a favore dell’Isis e degli scafisti.

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