Le milizie
Ciò allo scopo di meglio far fronte alla crescita del terzo incomodo, l’Isis appunto, che tra una carneficina e un attacco alle installazioni petrolifere si dichiara nemico di tutti. Nella direzione del governo unitario si muovono a fatica i colloqui che dovrebbero riprendere tra poco in Marocco, mentre in Algeria, a titolo complementare, si svolge un esercizio diverso: sono personalità elette dei due Parlamenti che vengono messe a confronto, nella speranza che trovino punti d’intesa.
Tutti sforzi lodevoli così come è stato opportuno l’incontro informativo di ieri a Roma tra il presidente del Consiglio Matteo Renzi e il mediatore dell’Onu Bernardino León. A condizione però di valutare correttamente gli ostacoli che persistono, e di avere un piano per il «dopo» qualunque esso sia. Ed è qui che entriamo, a livello internazionale, in una nebbia che va dissipata al più presto se vogliamo salvare la credibilità di chi media, quella di chi lo appoggia come l’Italia, e dunque le probabilità di successo della sua opera.
Il governo di Tobruk (riconosciuto dalla Comunità internazionale) sta al gioco ma punta soprattutto sui raid militari degli amici egiziani (Renzi incontrerà venerdì al Sisi al vertice economico di Sharm el Sheikh) e chiede all’Onu ingenti forniture di armi sin qui negate. Il governo di Tripoli, suo avversario, denuncia la nomina dell’ex generale Khalifa Haftar a capo di un «esercito libico» che è in realtà l’esercito di Tobruk, e per non dispiacere alle sue molteplici componenti islamiste arriva a negare la presenza in Libia dell’Isis accusando invece nostalgici di Gheddafi appoggiati e finanziati dall’estero che vorrebbero destabilizzare il Paese.
E’ una partita a scacchi che qualcuno può vincere, questa? E se poi il miracolo avesse luogo, cosa accadrebbe al momento di decidere chi dovrebbe guidare il governo di unità nazionale? Si applicherebbe forse il modello afghano (un presidente e un premier teoricamente sullo stesso piano) che ha già i suoi problemi a Kabul e ne avrebbe di più radicali nella Libia
L’Isis ha il suo quartier generale libico a Derna e infiltrazioni fino a Tripoli. E’ presente a Sirte dove gli estremisti di Ansar al Sharia, qaedisti, hanno dichiarato fedeltà al califfato. La sua ossatura a Derna — prima città libica a dichiarare fedeltà — è costituita dagli ex seguaci di Abdelhakim Belhadj, Gruppo dei combattenti islamici libici anti Gheddafi nella guerra civile
Le milizie di Misurata sono alleate con gli islamisti di Alba della Libia che controllano Tripoli, ultimo baluardo della Fratellanza in Nord Africa. Hanno l’appoggio diplomatico, politico e militare indiretto (armi) della Turchia e il supporto finanziario del Qatar
Il governo e il Parlamento nati dopo le elezioni del 2014 hanno sede a Tobruk. Sono le uniche autorità riconosciute dalla comunità internazionale. Sono sostenute dalle forze armate libiche guidate dal generale Haftar, sostenuto dall’Egitto energetico per bloccare i flussi finanziari che oggi le varie parti libiche si contendono, e poi decidere il blocco navale a guardia dell’embargo (ipotesi questa assai scomoda per l’Italia che importa gas dalla Libia, ma verosimilmente efficace).
La gravità della situazione libica suggerisce questi e altri scenari. Ma il fatto certo e immediato è che sul tavolo del suo estremo tentativo di compromesso diplomatico la comunità internazionale non è riuscita a porre né una carota né un bastone, essendo vaga la prima (difendersi meglio dall’Isis) e indecifrabile il secondo (presenza militare straniera, embargo con sanzioni, blocco navale?). L’Italia ha un interesse non più rinviabile a fare chiarezza. Persino una di quelle conferenze internazionali che raramente producono risultati questa volta potrebbe essere opportuna. Perché in Libia il tempo lavora contro di noi. E a favore dell’Isis e degli scafisti.