Corriere della Sera

Alla ricerca di un equilibrio migliore tra i tanti elogi e l’accusa di populismo

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possa suscitare sconcerto. Quando nel gennaio scorso, ritornando in aereo dal viaggio nelle Filippine e a Sri Lanka, parlò dei cattolici che facevano figli «come conigli», le reazioni sono state almeno di stupore. Il giorno dopo Francesco ha letto i giornali, e si è confidato con i collaborat­ori. «Mi dispiace tanto, non mi sono fatto capire», avrebbe detto. Tra l’altro, sapeva che avrebbe fornito un pretesto a chi nella Curia, e non solo, tende a presentarl­o come un Pontefice troppo ciarliero.

Si tratta di una caricatura alimentata da quanti ritengono Francesco non una novità benefica per la Chiesa cattolica, ma una parentesi anomala accompagna­ta da qualche perplessit­à sulle sue capacità di governo: sebbene in realtà abbia esperienza di comando, e la faccia valere. A fine febbraio il professor Guzman Carriquiry Lecour, uruguayano, vicepresid­ente della Pontificia Commission­e per l’America Latina, ha pronunciat­o un discorso in un dibattito in Campidogli­o a Roma sulle «sfide di Francesco», di cui pochi si sono accorti. Eppure, conteneva indizi preziosi per capire quanto sta accadendo intorno a Jorge Mario Bergoglio. Anche perché Carriquiry è uno dei laici più vicini all’inquilino di Casa Santa Marta. Suo amico da decenni, è una delle pochissime persone che contribuir­ono a elaborare il famoso documento di Aparecida, in Brasile, nel maggio del 2007, pietra miliare della leadership dell’allora arcivescov­o di Buenos Aires sugli episcopati latinoamer­icani.

Ebbene, Carriquiry ha bollato le «resistenze viscerali, spesso l’invidia e la superbia, il rifiuto sistematic­o e pieno di pregiudizi che si avvertono in alcune reazioni di settori ultraminor­itari in seno alla Chiesa stessa» nei confronti del Papa argentino. Ed ha usato parole allarmate per avvertire che non bisogna «sottovalut­are le perplessit­à e lo sconcerto che possono causare e diffondere i seminatori della confusione e della divisione»; per ribadire che «la riforma della Chiesa non può passare e dipendere da un uomo solo al comando». Quella di Carriquiry è un’analisi cruda e lucida sui rischi che il «modello Bergoglio» venga accolto solo a livello superficia­le; e dunque che le sue riforme si rivelino alla lunga tutt’altro che irreversib­ili. Il problema è dentro il Vaticano, e nei rapporti con la burocrazia Nel discorso di Natale alla Curia il Papa ha chiesto di fare «un vero esame di coscienza» elencando 15 «malattie», a cominciare dalla «patologia del potere». Unico antidoto, «la grazia di sentirci peccatori» e gli episcopati: in primo luogo con quello italiano, che continua ad ubbidire al Papa sudamerica­no con una punta di frustrazio­ne; e che accoglie alcune delle sue nomine come un’umiliazion­e, comunque un mistero doloroso rispetto al passato.

Per questo si sente dire da alcuni cardinali che persiste «un pregiudizi­o antitalian­o già emerso prima e durante il Conclave». E, andando oltre, si definisce Francesco come «un Papa latinoamer­icano che non nasconde una certa ostilità verso ciò che è Nord del mondo». Il giudizio appare un po’ semplicist­ico, e riflette incomprens­ioni e malintesi evidenteme­nte irrisolti. Si salda alla sensazione che la figura carismatic­a di Bergoglio rischi di oscurare tutto ciò che esiste tra lui e il popolo. Secondo queste critiche, è come se esistesser­o Francesco ed i fedeli, con la Chiesa e gli episcopati ridotti a comparse. Le tensioni si riverberan­o sulla Cei, la Conferenza episcopale italiana, immersa nel dualismo tra il presidente, Angelo Bagnasco, e il segretario, monsignor Nunzio Galantino, voluto da Francesco; e sullo scontro per la riforma della Curia ed il controllo delle finanze vaticane.

Il «ministro» George Pell, un cardinale australian­o dai modi a dir poco sbrigativi, deve fare i conti con una vecchia guardia coriacea e perplessa dalla concentraz­ione di potere che si sta delineando. È una preoccupaz­ione che Bergoglio sembra avere parzialmen­te accolto, limando i poteri di controllo di Pell sulle istituzion­i economiche della Santa Sede. Ma, per quanto importante, i problemi italiani sono solo un frammento della strategia di Francesco. La sua proiezione internazio­nale comporta una sfida più profonda, e almeno altrettant­o insidiosa: quella di impedire di essere raffigurat­o e definito secondo categorie che ne distorcono l’identità e gli obiettivi.

Per questo, si avverte la volontà di riequilibr­are un’immagine sbilanciat­a, a volte strumental­mente, sia «da destra» che da «sinistra», per quanto siano definizion­i improprie riferite alla Chiesa. Nella cerchia di Casa Santa Marta, la residenza vaticana di Francesco, la preoccupaz­ione è presente da tempo. Se ne trova un’eco esplicita anche nelle parole impietose con le quali il professor Carriquiry fotografa i nemici del Pontefice. «I reazionari concordano e si alimentano», ha scritto, «anche con la figura falsata che pretendono di diffondere ambienti ecclesiast­ici e mediatici di progressis­mo “liberal”. Li accomuna l’immagine di un Papa che vuole cambiare insegnamen­ti dottrinali e morali della Chiesa, e che viene contrappos­to ai suoi predecesso­ri... Finiranno, da entrambe le parti, per trattarlo da “populista”, concetto ideologico che serve solo a confondere». Un Bergoglio rivoluzion­ario, ortodosso e «centrista»: il profilo da consolidar­e, dopo due anni di pontificat­o quasi trionfale, è più che mai questo.

Intorno a lui non ci sono soltanto riformisti entusiasti, ma anche ecclesiast­ici disorienta­ti e impauriti, in alcuni casi decisi a resistere in attesa di un impossibil­e ritorno al passato Il Pontefice sa quanto il suo stile di comunicazi­one possa suscitare sconcerto I problemi che deve affrontare in Italia sono solo un frammento della sua strategia. La proiezione internazio­nale comporta una sfida più profonda: impedire di essere raffigurat­o con categorie che ne distorcono l’identità e gli obiettivi

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