SPIEGARE AI BAMBINI CIÒ CHE NON È
— protetti da qualche frasca o dall’ombra rassicurante di un letto — quelle che saranno le potenzialità dei loro corpi, lontano dagli sguardi indiscreti degli adulti. È un tempo di scoperta che esige la separazione dal mondo adulto. L’esplorazione del proprio corpo e di quello degli altri è un’attività che è sempre esistita, e che sempre esisterà. Probabilmente soltanto la nostra società malata di frantumazione ha bisogno di farla illuminare dalla sapienza degli specialisti, senza tenere conto del nostro innato senso di pudore.
Tempo fa, una mia amica si è sentita in dovere di spiegare alla figlia tredicenne, in procinto di partire sola per la prima vacanza all’estero, tutto quello che sarebbe successo se avesse avuto un rapporto sessuale. Un lungo silenzio ha accolto le sue parole. «Mamma, possiamo far finta che questa conversazione non sia mai esistita?» ha ribadito la ragazza, imbarazzata.
Con l’entrata nella nostra società del mito dell’educazione sessuale come panacea di tutti i mali, i riflettori sono costantemente puntati su qualcosa che, a mio avviso, dovrebbe restare felicemente nella penombra. Viene il sospetto che tutto questo febbrile desiderio di spingere i nostri ragazzi a conoscere la nomenclatura delle parti intime, il loro uso, declinato in infinite e variegate possibilità, sia in realtà collegato all’inarrestabile declino di quella che una volta veniva chiamata educazione.
Non essendoci più l’educazione, non ci rimane che quella sessuale.
Ma in che cosa consiste l’educazione sessuale, e soprattutto che cos’ha davvero prodotto in tutti questi anni di diffusione scolastica? Dovrebbe essere servita a far conoscere il corpo e le sue esigenze affettive, oltre naturalmente ad evitare malattie e gravidanze indesiderate. È stato davvero così? Se ci guardiamo intorno, non possiamo non notare che il degrado relazionale è purtroppo molto diffuso tra gli adolescenti. Tolta l’educazione della persona nella sua totalità, emerge ciò che sta appena sotto, vale a dire i modelli etologici delle grandi scimmie: il maschio dominante, le femmine ai suoi piedi, e gli esemplari non dominanti sottomessi alle prepotenze del branco.
Esperienze come quelle di Trieste nascono per tentare di arginare questo fenomeno. Serviranno, mi chiedo? Ne usciranno davvero bambini capaci di rispettare l’altro? O sarà soltanto l’ennesima spolverata di politically correct su un problema ben più allarmante? La nostra società sta vivendo una gravissima emergenza educativa, un’emergenza che si sottostima o che si cerca di tenere a bada inventando sempre nuovi spauracchi e sempre nuovi bersagli «oscurantistici» da abbattere.
I bambini, in realtà, sono bombardati di informazioni e di messaggi politicamente corretti, ma questi messaggi non sembrano avere alcun potere educante, se non quello di confondere loro le idee, rendendoli ancora più insicuri e fragili. Si fanno vestire i bambini da principesse, ma quando si tratta di bloccare la vendita di un videogioco che istiga alla violenza sulle donne tutti improvvisamente diventano afasici.
E se fosse giunto il momento di lasciare perdere le forzature ideologiche, da una parte e dall’altra, e di cominciare a parlare seriamente, tra di noi e ai nostri figli, di tutto ciò che sesso non è?