Corriere della Sera

Figli d’America, tempo scaduto

Appena uscito negli Usa, il nuovo saggio del politologo Robert Putnam, «Our Kids», è già un caso: la degenerazi­one del tessuto sociale è un’emergenza, bisogna agire subito senza aspettare dotte diagnosi

- Massimo Gaggi

dal nostro inviato

Il 70 per cento dei ragazzi americani con padre e madre poco istruiti cresce in famiglie nelle quali c’è un solo genitore. Solo il 10 per cento dei figli di coniugi laureati, invece, si trova in questa condizione. Redditi troppo bassi non significan­o soltanto un tenore di vita più modesto, sopra o sotto la soglia di povertà: le forti diseguagli­anze producono anche disgregazi­one delle famiglie, istruzione inadeguata, solitudine dei giovani che non vengono seguiti adeguatame­nte né aiutati a fare le scelte giuste. Una degenerazi­one del tessuto sociale che si è manifestat­a gradualmen­te e ora è diventata emergenza: nell’America degli anni Sessanta del Novecento le famiglie ad alta e bassa scolarizza­zione avevano più o meno la stessa struttura, ora tutto è cambiato.

Dopo la denuncia dell’impatto economico della polarizzaz­ione dei redditi fatta un anno fa da Thomas Piketty, un economista francese, nel suo Capitale, ora arriva quella di Robert Putnam sull’impatto sociale dell’impoverime­nto delle classi sociali che hanno perso terreno sotto la pressione della deindustri­alizzazion­e, dei processi di automazion­e, della globalizza­zione. Our Kids, il nuovo saggio dello scienziato politico di Harvard è uscito da appena due giorni ma fa già discutere, anche per il senso di urgenza che cerca di imprimere alle discussion­i su una crisi finita da tempo sul tavolo della politica, ma che fin qui non ha trovato risposte. E invece, incalza Putnam, non si può aspettare che venga completato l’esame scientific­o dei fenomeni sociali in atto. Ci vorranno anni, mentre qui bisogna agire subito, altrimenti diventerà troppo tardi, come per il «climate change»: ghiacciai svaniti, livello dei mari in crescita, alluvioni senza precedenti e città semisommer­se durante gli uragani, mentre si continua a discutere della natura dei mutamenti climatici e dell’impatto dell’uomo sull’ambiente.

Quindici anni f a con Bowling Alone, potente denuncia dell’impoverime­nto del «capitale sociale» di un Paese che stava perdendo il suo tessuto associativ­o e nel quale aumentava l’isolamento dei singoli e dei gruppi, Putnam scosse la coscienza dell’America. Si mosse perfino Bill Clinton che lo chiamò alla Casa Bianca per discutere dei possibili rimedi. Stavolta Putnam, che col suo appassiona­to saggio sul futuro dei nostri figli spera di incidere sulla campagna per le Presidenzi­ali 2016, si è mosso in anticipo. È stato consultato più volte da Barack Obama (che ha usato le tesi del politologo in alcun suoi discorsi sulla giustizia sociale), ha discusso con Paul Ryan, un leader conservato­re Thomas Hart Benton,

porzione del murale

(1932) ora ricomposto interament­e per la mostra al Metropolit­an di New York «Thomas Hart Benton’s

Mural Rediscover­ed» (fino al 19 aprile) molto attento alle questioni sociali anche se nemico dell’aumento della spesa pubblica, mentre il candidato repubblica­no alla Casa Bianca Jeb Bush ha voluto vedere il libro in anteprima. Anche il team economico di Hillary Clinton ha incontrato Putnam più di una volta.

Quello del professore di Harvard è un saggio scientific­o: 284 pagine di testo zeppe di grafici più cento pagine di note. Ma Putnam ha una capacità unica di coinvolger­e il lettore con le sue descrizion­i delle trasformaz­ioni sociali delle realtà che ha studiato o che conosce meglio, come quella della sua Port Clinton in Ohio. E riesce a trasformar­e i grafici in creature viventi che raccontano i percorsi divergenti fatti dalla spesa per i figli nelle famiglie più o meno agiate o quelli dalle madri laureate e non nella ricerca di un impiego e nella capacità di continuare a dedicare parte del tempo alla cura dei figli.

Dietro le statistich­e, poi, ci sono le storie: Putnam racconta di ragazzi cresciuti senza guida in famiglie povere, progressiv­amente devastate dall’apatia, dalla droga, dagli abbandoni del tetto coniugale, mentre scuole e quartieri, che ancora qualche decennio fa erano luoghi di rapporti interclass­isti e di riequilibr­io sociale, sono sempre più comunità chiuse di una segregazio­ne che non è più solo razziale ma anche sociale: passa attraverso il reddito e l’istruzione e, oltre ai neri e gli ispanici, colpisce ormai anche i ragazzi bianchi, fi- gli delle famiglie del ceto medio impoverito.

Oltre a far discutere, Our Kids è destinato a suscitare critiche. Ad esempio per la sua scelta di rimettere il tema delle classi sociali al centro del dibattito in un Paese che si era illuso di essere privo di divisioni di questo tipo. E poi perché, in qualche modo, accantona la questione razziale. Lo storico Francis Fukuyama ha notato sul «Financial Times» che, leggendo il libro, ci si rende conto che le famiglie degli afroameric­ani sono state come il canarino nella miniera di carbone: il declino sociale dei loro quartieri nelle città Usa degli Anni 70 e 80 del secolo scorso è ora seguito, più di recente, da quello delle famiglie del proletaria­to bianco.

Il limite del lavoro di Putnam sta nelle conclusion­i. La ricetta proposta dal politologo non è particolar­mente originale: più investimen­ti sociali nella cura dell’infanzia, una riforma della giustizia criminale che riduca le pene detentive per i reati minori in modo da lasciare a casa un numero maggiore di padri, scuole migliori e più attività gratuite per il doposcuola oltre, ovviamente, alle azioni necessarie per favorire un aumento dei redditi minimi. Lo studioso non entra nel merito dei comportame­nti politici che hanno portato alla situazione attuale e questo suscita le critiche dei liberal, irritati perché Putnam non mette sotto accusa esplicitam­ente il «darwinismo sociale» dei conservato­ri e le politiche fiscali di Bush che hanno favorito l’eccessiva polarizzaz­ione nella distribuzi­one dei redditi.

Putnam forse non lo ha fatto perché non voleva perdere la possibilit­à di influenzar­e, in vista delle elezioni presidenzi­ali, anche una destra che è, sì, antistatal­ista, ma che ormai è anch’essa seriamente preoccupat­a per l’impoverime­nto di gran parte della società. Comunque, tattiche politiche a parte, Putnam cerca di spostare la discussion­e dal terreno economico del trasferime­nto del reddito, che pure è necessario, a quello delle regole sociali e dei comportame­nti etici. Un terreno che piace a conservato­ri «illuminati» come David Brooks, che vede nel libro di Putnam un’occasione per spostare la discussion­e sulla rinascita del ceto medio dal terreno degli sgravi fiscali a quello della ricostruzi­one delle regole sociali sulle quali deve basarsi l’organizzaz­ione di una famiglia capace di far progredire i suoi figli. Un «vocabolari­o morale» che, secondo Brooks, non dipende solo dalla consistenz­a della busta paga e dal benessere materiale.

S’intitola («I nostri ragazzi. Il sogno americano in crisi») il nuovo libro di Putnam (Simon & Schuster, pp. 416, $ 28) sull’aumento delle disparità sociali negli Stati Uniti. Al modello sociale degli Usa Putnam ha dedicato nel 2000 il libro tradotto dal Mulino nel 2004 con il titolo

Il presidente Obama e Hillary Clinton lo hanno consultato, e anche da destra c’è attenzione

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nella foto qui sopra),
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La tradizione civica nelle regioni italiane, (traduzione di Noemi Messora, Mondadori, 1993)

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