Il Pritzker Prize 2015 al progettista dello stadio di Monaco appena scomparso Frei Otto, l’architetto delle strutture a vela
nomi e volti snocciolabili come una formazione di calcio (Bubba, Giannini, Barletti; Pasini, Carino, Castellotti…) per una trasmissione tv che fece epoca. Oggi Vasino, bel signore di quasi 80 anni, inanella ricordi di tre decenni di sport vissuti in prima linea con la curiosità del cronista attento e partecipe (
De Ferrari, pp. 204,
12,90). architetto tedesco Frei Paul Otto, scomparso lunedì scorso a 89 anni, è stato insignito ieri del Pritzker Prize. Il comitato del premio, dando la notizia della sua morte, ha anticipato di due settimane l’annuncio del riconoscimento precisando che la decisione è stata presa quando Otto era ancora vivo e che i rappresentanti del comitato «si sono recati da lui per condividere la notizia del premio».
Nato in Sassonia il 31 maggio 1925, nipote di scultori, Otto mostrò un precoce interesse per il modellismo e lavorò come muratore. Durante la prigionia in Francia nel 1945-46 (fu aviatore della Luftwaffe) organizzò le squadre di costruzione. Studiò alla Technische Universität di Berlino e poi negli Usa, dove conobbe Saarinen e grandi maestri come Mendelsohn, Neutra, Frank Lloyd Wright. Nel ’54 si addottorò specializzandosi Frei Otto (1925-2015). Nel 2006 aveva vinto il Premio Imperiale e nel 2005 aveva ricevuto la Royal Gold Medal del Royal Institute of British Architects in tensostrutture. A questo punto la poetica di Otto era formata: saper realizzare importanti e stupefacenti forme di architettura organica attraverso grandi capacità da ingegnere strutturista.
Divenuto docente a Stoccarda dopo aver costruito il Padiglione della musica per l’esposizione cittadina, Otto vi fondò l’Istituto per le strutture leggere (1964). Le sue sperimentazioni ingegneristiche, la passione per le strutture gonfiabili e per le vele, trovano espressione nella più celebre delle sue opere, lo Stadio Olimpico di Monaco del ’72, con quel tetto a ragnatela retto da tensostrutture che serve d’esempio ancora oggi a varia architettura decostruttivista. Le sue strutture, come dice il riconoscimento del Pritzker, appaiono «leggere, aperte alla natura e alla luce naturale, non gerarchiche, democratiche, a basso costo, a basso consumo energetico». Si ricordano anche il centro polivalente a Mannheim (1974), le residenze a Berlino (1982), l’ampliamento delle officine Wilkhahn a Bad Munder (1989), la stazione di Stoccarda (2000) e il padiglione del Giappone per l’Expo di Hannover con Sigeru Ban.