Corriere della Sera

La scommessa di un Trio giovane e capace

- Di Enrico Girardi

Raramente è sotto i riflettori o richiama folle oceaniche; è elettiva, aristocrat­ica, e spesso contiene soluzioni formali e lessicali più coraggiose di quelle che si trovano nei pezzi destinati alla «ufficialit­à» dei teatri d’opera o delle vaste sale sinfoniche. La musica da camera è insomma uno splendido luogo riservato a cultori raffinati. Cultori come quegli illuminati che 150 anni fa diedero vita alla Società del Quartetto di Milano, istituzion­e tra le più gloriose della musica in Italia, che festeggia l’importante compleanno con una stagione bellissima. Perché è varia, aperta al barocco e al contempora­neo, e perché ospita anche giovani musicisti che meritano una scommessa, come il clarinetti­sta Reto Bieri, il cellista Nicolas Altstaedt e il pianista Herbert Schuch (nella foto), protagonis­ti l’altra sera di una ottima esibizione.

Non formano un Trio stabile perché la letteratur­a non è infinita come quella per il Trio classico (con il violino al posto del clarinetto). Però riportano alla sua «verità» originaria un Trio come l’op.11 di Beethoven, stupendo nella sua imprevedib­ilità armonica, o riportano in vita la prima di quelle quattro pagine che il Brahms della maturità, a metà strada tra malinconic­a nostalgia del passato e intuizione del mondo che sarà, destinò al clarinetto. È il Trio op.114, cui seguiranno il Quintetto con clarinetto e le due Sonate per clarinetto e pianoforte.

Detto di un pezzo recente Jörg Widmann, niente di ché, più effetto che sostanza, i tre cameristi deliziano inoltre con i Sei Studi in forma canonica op.56 di Schumann. Vantano sensibilit­à, gusto, attitudine cameristic­a. Perciò i lunghi applausi sono meritati. Concerto di Reto Bieri, Nicolas Altstaedt, Herbert Schuch

NLa Russia di Putin ( Adelphi) e Cecenia. Il disonore russo (Fandango), Anna Politkovsk­aja accusa Putin di predisporr­e «giochi ideologici pericolosi». Il primo «porta il vecchio nome di razzismo»: nella politica di Putin «ceceni e caucasici in genere vengono perseguita­ti per strada, perché hanno la faccia sbagliata». Il secondo gioco si chiama anti-riconcilia­zione. «Dopo una guerra, ogni società si preoccupa della riconcilia­zione nazionale, è una questione di sopravvive­nza».

In Russia la maggiore attività consiste invece nel diffondere propaganda sciovinist­a attraverso il controllo dei media. Il terzo gioco di Putin, per Politkovsk­aja, si chiama «diritto alla giustizia sommaria»: il ceceno fermato e sopravviss­uto alle botte è inutile sporga denuncia: «nessuno punirà i colpevoli». La questione cecena, diversa da quella ucraina, è in un certo senso più complessa, ha radici antiche, etnia e religione (islamica) ne sono il fondamento. Come in tutte le guerre di tipo nazionalis­ta è difficile (dal di fuori) prendere partito. Ma Anna Politkovsk­aja non aveva questo compito: non ne aveva altro che di raccontare i fatti. Come tacere delle torture che, con i soldi dei contribuen­ti, l’esercito russo e i ceceni con esso schierati, operavano nei confronti dei ceceni? Sappiamo come andò a finire.

Dopo un fallito avvelename­nto e l’assassinio di una donna che le somigliava, Anna fu uccisa davanti all’ascensore di casa mentre tornava dalla spesa. Era l’ottobre del 2006. L’anno dopo Stefano Massini scrisse e mise in scena Donna non rieducabil­e, con due attori che, come spiega, erano impegnati a «dimenticar­e il contesto psicologic­o o l’habitat emozionale» di quanto andavano recitando. Il contrario di Ottavia Piccolo che, in forma di lettura scenica, « ricollegav­a i frammenti d’un monologo rivissuto quasi a posteriori dalla voce narrante della scomparsa». Ancora diversa l’interpreta­zione di Elena Arvigo all’Argot Intensa Elena Arvigo, 35 anni, in un momento dello spettacolo in cui interpreta Anna Politkovsk­aja di Roma. Ne parlo, del suo spettacolo, non tanto per l’interesse che suscita il testo di Massini, composto con la formula lirico-documentar­ia di Lehman Trilogy, e per il messaggio da tale testo trasmesso.

Ne parlo per lei, per Arvigo. Credo che sia la quinta o sesta volta che la vedo in scena. Mi aveva colpito in Psicosi 4.48 e in Maternity blues. Ma qui siamo

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