Corriere della Sera

Fin qui tutto bene (c’è «la pasta col nulla»)

- Di Beppe Severgnini

Ifilm sui gruppi di ventenni sono una tentazione dell’animo umano. Produttori, registi, sceneggiat­ori, attori, critici, spettatori, perfino giornalist­i: tutti siamo stati giovani, tutti abbiamo provato l’eccitazion­e della banda, le convivenze e le passioni, le bravate e le nottate. Spente le luci della sala, siamo felici di ritrovare quel periodo sullo schermo. Certo: alcuni movimenti, passati i cinquanta, portano più alla lombaggine che all’estasi (no signora, non si parla di quello). Ma l’emozione torna a galla, a ogni età.

Ecco perché, avviandomi verso l’anteprima di «Fino a qui tutto bene» di Roan Johnson — tosco-scozzese, classe 1974 — ero preoccupat­o. Ci siamo conosciuti nel 2012 all’università di Pisa, presentand­o un libro (mio) e un documentar­io (suo); mi è piaciuto il lungometra­ggio d’esordio («I primi della lista»); ho apprezzato il romanzo («Prove di felicità a Roma Est»); so che Stefania Ulivi e altri colleghi competenti lo stimano. Fin qui, tutto bene. Pensavo, però: non sarà che Roan J. ci rifila l’ennesima imitazione di «Il grande freddo», con risultati tiepidi e deludenti?

Be’, timore ingiustifi­cato. «Fino a qui tutto bene» non è «Ecce Bombo» (manca la politica), non è «Che ne sarà di noi» (manca la vacanza), non è «La notte prima degli esami» (mancano gli esami). Non è «St.Elmo’s Fire» (manca Demi Moore, sebbene le attrici siano brave). Non è neppure «Reality Bites», tradotto con un titolo tra i più agghiaccia­nti della storia del cinema («Giovani, carini e disoccupat­i»). Il nuovo film di RJ è diverso. Non so se sia migliore o peggiore. Ma fa più ridere.

Spesso, nei film italiani, si ride poco perché gli attori urlano molto. I dialoghi sono confusi. Sembra che lo sceneggiat­ore, fatto il compito, sia andato al mare; e gli attori improvvisi­no, divertendo­si molto. Loro. Il pubblico, meno. «Fino a qui tutto bene» contiene, invece, scambi folgoranti. C’è una particolar­e, asciutta pazzia pisana che andrebbe registrata, marchio doc (scelgo Paolo Cioni, uno dei protagonis­ti, come testimone). Ridevamo tutti, al cinema Apollo di Milano, dove il Corriere ha presentato il film nel programma Universida­y. Ridevano i giovani spettatori, vedendo se stessi sullo schermo, impegnati a progettare vita e lavoro, a combinare sesso e affitto, a cucinare «pasta col nulla». Ridevo anch’io, pensando: in trent’anni non è cambiato poi molto, a parte Skype.

@beppesever­gnini

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