Corriere della Sera

L’antimafia del fare oggi è rete sociale (più di tanta politica)

- Di Alessandra Coppola

Un’antimafia così a Bologna non s’era mai vista. Duecentomi­la persone sono tante, confluite in una città che non ne conta neanche il doppio. Qualcosa devono necessaria­mente dire di questo Paese. Innanzitut­to, raccontano della forza di Libera. Fondata vent’anni fa come ombrello di associazio­ni, resta oggi la rete sociale più importante d’Italia. Non è solo un pregio. C’è un rischio di «monopolio», di eccessiva concentraz­ione attorno alla straordina­ria figura carismatic­a di don Luigi Ciotti. Ma, comunque la si pensi, è un tessuto eccezional­e di giovani soprattutt­o, e poi di lavoratori, precari, pensionati con i quali la politica non ha più collante, e che pure i sindacati faticano a intercetta­re. E poi Libera rimane anche il principale punto di riferiment­o per esperienze concrete, a volte addirittur­a eroiche, sul territorio, come il recupero dei beni confiscati. Secondo, la mafia è al Nord, da decenni, e i bolognesi sanno che l’Emilia Romagna non fa eccezione. Dai casalesi alla ‘ndrangheta, nessun angolo del Paese è immune. L’hanno raccontato giornalist­i, studiosi e ormai pure le sentenze: la linea gotica è rotta da tempo, quella della palma è avanzata. Terza e ultima osservazio­ne, la parola «mafia» tiene dentro molto altro, e in Italia una manifestaz­ione come questa avverte i Palazzi che c’è ancora una quota di popolazion­e «resistente» che (probabilme­nte) vota e chiede riforme di sostanza. Ciotti lo sostiene da tempo, ieri l’ha ribadito: «Chi non vuole una legge sulla corruzione fa un favore ai mafiosi, la corruzione è la più grave minaccia per la democrazia». Antimafia oggi — è un messaggio al governo — significa saper dare risposte esattament­e a queste duecentomi­la domande.

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