L’antimafia del fare oggi è rete sociale (più di tanta politica)
Un’antimafia così a Bologna non s’era mai vista. Duecentomila persone sono tante, confluite in una città che non ne conta neanche il doppio. Qualcosa devono necessariamente dire di questo Paese. Innanzitutto, raccontano della forza di Libera. Fondata vent’anni fa come ombrello di associazioni, resta oggi la rete sociale più importante d’Italia. Non è solo un pregio. C’è un rischio di «monopolio», di eccessiva concentrazione attorno alla straordinaria figura carismatica di don Luigi Ciotti. Ma, comunque la si pensi, è un tessuto eccezionale di giovani soprattutto, e poi di lavoratori, precari, pensionati con i quali la politica non ha più collante, e che pure i sindacati faticano a intercettare. E poi Libera rimane anche il principale punto di riferimento per esperienze concrete, a volte addirittura eroiche, sul territorio, come il recupero dei beni confiscati. Secondo, la mafia è al Nord, da decenni, e i bolognesi sanno che l’Emilia Romagna non fa eccezione. Dai casalesi alla ‘ndrangheta, nessun angolo del Paese è immune. L’hanno raccontato giornalisti, studiosi e ormai pure le sentenze: la linea gotica è rotta da tempo, quella della palma è avanzata. Terza e ultima osservazione, la parola «mafia» tiene dentro molto altro, e in Italia una manifestazione come questa avverte i Palazzi che c’è ancora una quota di popolazione «resistente» che (probabilmente) vota e chiede riforme di sostanza. Ciotti lo sostiene da tempo, ieri l’ha ribadito: «Chi non vuole una legge sulla corruzione fa un favore ai mafiosi, la corruzione è la più grave minaccia per la democrazia». Antimafia oggi — è un messaggio al governo — significa saper dare risposte esattamente a queste duecentomila domande.