Corriere della Sera

PERCHÉ SIAMO VULNERABIL­I ALLE MINACCE DALLA LIBIA

- SEGUE DALLA PRIMA Franco Venturini fventurini­500@gmail.com

La Tunisia reggerà al contagio libico soltanto se sarà puntellata da una consistent­e assistenza militare e da aiuti che compensino le scontate perdite nel settore turistico.

Gli algerini sono più bravi a sorvegliar­e i confini, ma potrebbero anche loro scoprirsi vulnerabil­i alla minaccia jihadista come in realtà sono. La minaccia cresce in una Libia anarchica, contagia i vicini, si incrocia con le migrazioni di massa, sfrutta ogni giorno di più le sue capacità telematich­e di reclutamen­to, tiene in allerta i presunti «lupi solitari» che risiedono già in Europa. E allora, quanto tempo sarà ancora concesso ai tentativi di Bernardino León ? Quando si deciderann­o gli europei, e necessaria­mente anche gli americani, ad elaborare un «piano B» nel caso gli sforzi del mediatore Onu restino vani?

Si capisce perché la politica e la diplomazia non gradiscano questi interrogat­ivi. Perché portano diritti all’uso della forza, quella forza di cui l’Isis si serve in abbondanza. Noi non siamo l’Isis. Dobbiamo svegliarci, ma senza dimenticar­e che siamo democrazie e abbiamo opinioni pubbliche. E poi la forza, lo insegnano i militari, richiede partecipaz­ioni adeguate, piani di intervento, una previsione di durata e metodi di sganciamen­to senza abbandonar­e tutto come fu fatto nel 2011. E richiede fronti interni capaci di incassare perdite.

Il dilemma è comprensib­ile, ma non deve portare alla paralisi. Se i requisiti sopra citati non esistono si passi all’embargo energetico (con perdite transitori­e per l’Italia) e al blocco navale, si rifletta a strumenti di pressione più convincent­i della mediazione Onu. E si insista nel coinvolgim­ento di tutta l’Europa e degli Usa, perché la Libia non è meno decisiva di Tikrit o di Mosul.

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