Corriere della Sera

L’impero della gomma che portò l’Italia nel mondo

In Borsa nel ‘22. Dai cavi agli pneumatici, le tre svolte della Bicocca

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A sinistra, un manifesto del 1913 che pubblicizz­a pneumatici per biciclette, all’epoca tra le produzioni del gruppo fondato da Giovan Battista Pirelli L’illustratr­ice svizzera Lora Lamm (sopra un suo manifesto) ha collaborat­o tra le altre per la Pirelli, la Rinascente e la Olivetti come cavi, da quelli sottomarin­i per il telegrafo a quelli per telefonia ed elettricit­à: ha contribuit­o quindi alla illuminazi­one di città come New York o Chicago. Successiva­mente ha sviluppato il comparto Pro.di, cioè dei prodotti diversific­ati (dalle mantelline impermeabi­li agli stivali). Al pneumatico prima per bici poi per auto e camion arriva nei primissimi anni del Novecento.

È un gruppo per certi versi atipico in Italia, sia perché costituisc­e Una interpreta­zione grafica del designer Giacomo Spazio, esposta alla Triennale sette anni fa per il lancio del nuovo cinturato Pirelli presto holding all’estero ( prima a Bruxelles quindi a Basilea) sia perché con Leopoldo Pirelli, quarto figlio di Alberto e nipote del fondatore, cerca a più riprese l’alleanza internazio­nale con una integrazio­ne industrial­e. Dunlop, Firestone, Continenta­l: per tre volte fra il 1970 e il 1991 l’impegno è grandissim­o e si va anche vicino al traguardo, ma alla fine i dossier si chiudono senza il risultato auspicato. E con difficoltà finanziari­e. Il gruppo nel 1980 ha anche venduto il simbolo, cioè il grattaciel­o progettato da Giò Ponti. Pensato fin dal 1937, realizzato nel 1960 e fino al 1966 il più alto d’Europa, è l’icona Pirelli per «soli» vent’anni.

Ed è atipica anche la succession­e. La Camfin dei Tronchetti Provera entra in Pirelli nel 1985 con una quota, circa il 3%, simile a quella della famiglia fondatrice, come quinto-sesto socio. Prosegue gli acquisti e in breve sale a terzo azionista dietro a Mediobanca e Orlando. Nel 1992 Marco Tronchetti

Le tappe

Giovan Battista Pirelli, ingegnere e garibaldin­o, fonda l’azienda nel 1872

La guida resta alla famiglia fino al 1992 quando Leopoldo Pirelli, dopo la fallita scalata a Continenta­l, lascia a Marco Tronchetti Provera

Nel 2001 il gruppo entra in Telecom ma l’avventura dura solo sei anni e si chiude in seguito al pressing del governo per lo scorporo della rete

Cinque anni fa arriva l’alleanza con la famiglia Malacalza, che però ambisce a un ruolo di maggiore influenza, fino al divorzio concordato

Al fine di espandere la Pirelli su nuovi mercati, Tronchetti stringe un accordo con la russa Rosneft che prende il 50% Camfin

Ultimo capitolo: ChemChina si appresta ad assumere il comando e a delistare la società quotata dal 1922 Provera diventa il numero uno operativo mentre Leopoldo avvia la ritirata che lo porta fuori dai vertici nel ’99.

Per il turnaround Tronchetti punta su pneumatici di maggior valore aggiunto e sui cavi, mentre vende subito la parte Pro.di. Fibre, componenti ottiche, brevetti: il gruppo negli Stati Uniti realizza cifre impensabil­i senza i valori di una gigantesca «bolla» e con la vendita a Corning della società prima destinata al collocamen­to al Nasdaq incassa una

Piazza Affari Negli ultimi sei anni il valore della società in Borsa si è moltiplica­to di oltre sei volte

plusvalenz­a di oltre tre miliardi di dollari (con guadagni anche per la prima linea di manager grazie alle stock option).

Cifra che nove mesi più tardi verrà investita in Telecom: Pirelli nel 2001 acquista da Colaninno & co. il controllo della società di telecomuni­cazioni. Complessiv­amente, compreso l’impegno a supporto della fusione con Tim, il gruppo della Bicocca investe 6,5 miliardi e quando, nel 2007, esce dalla (troppo) grande avventura, accusa una perdita complessiv­a di 3,2 miliardi. Nel frattempo, per far fronte agli impegni troppo gravosi, vende i cavi a valori ormai ampiamente sgonfiati.

Tronchetti Provera ricomincia dunque dal pneumatico. Puntando da un lato sui prodotti ad alto valore aggiunto e dall’altro sui mercati emergenti come Brasile e Cina, mette a segno una sorta di rivincita industrial­e che porta il gruppo, fra il 2009 e oggi, a moltiplica­re il valore di Borsa, passato nel periodo da meno di 2,2 miliardi ai 7,4 di venerdì (certo complice l’Opa negli ultimi giorni).

La struttura finanziari­a però lo porta a perseguire riassetti e far leva su nuovi soci. Ma con la famiglia genovese Malacalza il tentativo finisce in contenzios­o e con i russi di Rosneft la situazione internazio­nale, la caduta dei prezzi petrolifer­i e del rublo giocano a sfavore del consolidam­ento di una partnershi­p stabile e forte. Ecco dunque il colosso cinese. La geopolitic­a industrial­e ha ora nuovi «eroi».

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